Agorà

Salone del Libro. Se l'autore cattolico diventa nomade

Alessandro Zaccuri venerdì 13 maggio 2016
No, il self publishing non era previsto. È forse questo il dato più inatteso fra i tanti che emergono dal sesto Osservatorio sull’editoria religiosa promosso da Uelci (Unione editori e librai cattolici italiani) in collaborazione con l’Ufficio studi dell’Aie (Associazione editori italiani) e presentato ieri al Salone internazionale del Libro di Torino. Altri elementi sono più facili da intuire. Anzitutto la concorrenza esercitata dall’editoria “laica”, che ormai copre un quarto del-l’offerta del libro religioso. In questa quota di mercato, oscillante fra il 5 e il 6%, gli editori non religiosi si avvantaggiano di una politica di prezzo più esigente rispetto a quella dei colleghi cattolici. Un libro pubblicato da questi ultimi costa in media il 48% in meno del resto dell’offerta. Bisogna vendere di più, molto di più per guadagnare abbastanza. Con il risultato che mentre l’editoria nel suo complesso inizia a mostrare segnali di ripresa (siamo al +1,6%), per i cattolici la perdita è ancora significativa, quantificabile nel -5,2%. Come se non bastasse, arriva il self publishing: su tre libri di argomento religioso di sigle “laiche”, uno proviene dal tumultuoso circuito dell’autoproduzione. «Che anche in ambito cattolico inizia ad avere il suo peso – avverte Lorenzo Fazzini della Emi –. Ho in mente casi di associazioni che, avendo realizzato in proprio volumi sulla propria storia, sono arrivate a diffonderne migliaia e migliaia di copie». Un fenomeno che, lentamente, sta investendo anche un settore ritenuto inscalfibile, come quello della catechesi. Spiega don Pietro Mellano, direttore editoriale della salesiana Elledici: «Le iniziative a livello locale si stanno moltiplicando, ma la legittima ricerca di autonomia potrebbe accentuare la tendenza, già abbastanza diffusa a uno scarso coordinamento. Con ricadute prevedibili anche sul rapporto con gli autori». È un altro degli elementi di debolezza messi in risalto dall’Osservatorio. Aurelio Mottola di Vita & Pensiero lo sintetizza così: «Tra l’editoria cattolica e quella laica c’è lo stesso rapporto che corre fra i grandi gruppi e le etichette indipendenti. Un autore può anche essere scoperto in un ambito relativamente ristretto, ma diventa best seller quando passa con una major. La presenza culturale dei cattolici è ancora troppo poco riconosciuta ». È un problema di visibilità? «Sì, ma nel senso più vasto», replica padre Alberto Breda di Edb, che – come molte altre case editrici cattoliche – non ha un proprio stand al Salone e non può contare neppure sullo spazio collettivo gestito fino allo scorso anno dall’Associazione Sant’Anselmo. «Sappiamo tutti – prosegue padre Breda – che librerie, così come sono, non rappresentano più un canale efficace. Ma il ripensamento andrebbe condotto attraverso un confronto più serrato».Eccezioni ed eccellenze non mancano. Al tavolo del dibattito Uelci siede Simone Berlanda, responsabile della libreria Àncora di Trento: «In città – dice – siamo un punto di riferimento non solo per la produzione religiosa, ma anche per la cosiddetta “varia” e per i libri destinati ai ragazzi. Abbiamo alle spalle una forte tradizione, che però non esclude la necessità di investire, reinventarsi, sperimentare ». E se fosse proprio la capacità di progettare a fare la differenza? «Di sicuro – risponde il presidente Uelci Gianni Cappelletto – non è più possibile pensare di cavarsela come si faceva qualche tempo fa, quando l’ideazione di un libro si esauriva nell’individuazione di un tema interessante». Soffermiamoci sul “nomadismo degli au- tori”, come suggestivamente lo definisce l’Osservatorio a commento di un grafico che, in un intrico di nomi e freccette, prova a riassumere le migrazioni editoriali delle firme più quotate verso le case editrici laiche. «Con il rischio – puntualizza suor Beatrice Salvioni delle Paoline – che il successo finisca per inflazionare o rendere meno incisivo il messaggio dell’autore ». In San Paolo il tentativo di governare l’andirivieni è in atto da tempo, rivendica il direttore editoriale don Simone Bruno: «A chi pubblica con noi chiediamo di rendersi disponibile a intervenire su tutti i media a disposizione, non esclusi i social network. Questo ci permette, tra l’altro, di coinvolgere autori non direttamente riconducibili al mondo cattolico, come sta accadendo con la collana “Vite esagerate” lanciata qui al Salone ». Fatte le debite proporzioni, è la stessa strategia messa in atto dalla torinese Effatà: «Una collana per noi molto importante è “Scrittori di Scrittura”, che propone la rivisitazione di pagine bibliche da parte di narratori di oggi – osserva Gregorio Pellegrino –. Ma il pubblico interessato a un’operazione di questo tipo si raggiunge più facilmente attraverso la Rete che non in libreria». La domanda c’è, tutto sta a farla incontrare con l’offerta. «In questo il gioco di squadra è fondamentale – ribadisce Roberta Russo di Piemme –. Dall’editing alle strategie di marketing nulla può essere affidato al caso. Un titolo emblematico? Il nome di Dio è misericordia, il libro di papa Francesco curato da Andrea Tornielli e salutato come un evento in tutto il mondo. Esito per noi eccellente, ma per raggiungere l’obiettivo ogni aspetto è stato seguito nel dettaglio». L’invito a una maggior professionalità viene anche da don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana: «La dispersione degli autori deriva spesso da un certo ritardo che l’editoria religiosa nel suo complesso sta ancora scontando. Certo, quello del Papa rimane un caso eccezionale. Le richieste dei diritti di pubblicazione delle sue opere sono sempre più numerose, anche e specialmente da parte degli editori laici ». Tra chi ha pubblicato i testi di Francesco c’è anche la romana Castelvecchi, il cui direttore editoriale, Pietro D’Amore, è stato invitato a portare la sua esperienza nel dibattito Uelci: «Come mai pubblichiamo autori religiosi, da Martin Luther King al Papa? Perché affrontano le questioni fondamentali dell’agire comune. In questo rileggere Gandhi è altrettanto utile del tornare a leggere Mazzini». Il nomadismo ha anche nobili motivi, dunque, a volte favoriti dall’imponderabile. Ricorda Guido Dotti di Qiqajon, la casa editrice della comunità di Bose: «Il nostro priore, Enzo Bianchi, ha iniziato a pubblicare da Einaudi come curatore di una raccolta di antiche regole monastiche. I best seller sono arrivati dopo».