Agorà

I NOSTRI WEEK END. Nella Lucania dei poeti

Vito Salinaro venerdì 2 dicembre 2011
«Spalancai una porta-finestra, mi affacciai ad un balcone dalla pericolante ringhiera settecentesca di ferro e, venendo dall’ombra dell’interno, rimasi quasi accecato dall’improvviso biancore abbagliante. Sotto di me c’era il burrone; davanti, senza che nulla si frapponesse allo sguardo, l’infinita distesa delle argille aride, senza un segno di vita umana, ondulanti nel sole a perdita d’occhio, fin dove, lontanissime, parevano sciogliersi nel cielo bianco».A leggerle velocemente, queste righe del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, si resta forse più ammirati dalla scrittura che dal singolare paesaggio descritto (Aliano, Basilicata). In fondo, si parla di burroni, argille aride, desolazione. Eppure, se Levi decise di farsi seppellire in questo anonimo lembo di Lucania, forse di un simile paesaggio, spoglio e arcano, ci si può anche innamorare. Anche se qui ci sei venuto per forza. Anche se in questa terra ci hai passato 8 mesi e 8 giorni da confinato politico. Qui lo scrittore, pittore e poi senatore torinese, fu destinato dal regime fascista, nel 1935, «siccome pericoloso per l’ordine nazionale per aver svolto… attività politica tale da recare nocumento agli interessi nazionali». Il paese, nelle pagine del famoso libro pubblicato nel 1945 e che denunciò le condizioni di vita di una fetta di Sud, diventerà Gagliano.Oggi, il piccolo centro lucano, appena 1.100 anime, svettante tra enormi colline di argilla bianca (i calanchi) che tanto evocano paesaggi lunari, è sede del Parco letterario "Carlo Levi". Uno dei tre della Basilicata. Ogni cosa qui evoca le pagine del romanzo leviano. Per certi aspetti lo si rivive. Nei paesaggi, nei gesti, nei dialoghi, nei volti. E nei musei: dalla casa-confino a quello di arte contemporanea, dove trovano spazio le opere pittoriche realizzate, durante il periodo punitivo, dall’indimenticato "torinese del Sud".Del resto, i parchi letterari servono a tradurre la suggestione dei luoghi con la forza della poesia. E così, quando ti ci ritrovi dentro curiosando per piazze, ruderi, sapori e folclore, sembra di passeggiare tra le pagine di un libro. L’ultimo è stato inaugurato un anno fa a Tursi (Matera). È dedicato ad Albino Pierro (Tursi, 1916 - Roma, 1995), il poeta che, grazie ai suoi versi in dialetto, si è guadagnato un posto d’onore nella poesia italiana del Novecento. Rievocando il paese del ricordo («a terra d’u ricorde»), della fanciullezza, della struggente nostalgia, Pierro ha recuperato e accreditato un linguaggio appartenuto al suo passato e alla sua gente e poi tradotto in tutto il mondo. Negli anni ’90 ha ricevuto la laurea honoris causa dall’Università della Basilicata. Più volte è stato candidato al Nobel per la letteratura.Oggi il palazzo di piazza Plebiscito dove è nato («u paazze»), ospita, nei piani superiori, la biblioteca Pierro e il Centro studi. Nella graziosa cittadina, i cui primi insediamenti umani risalgono al XII secolo a. C., ci si lascia incantare dal primo nucleo abitativo, sottoposto al castello, denominato Rabatana, circondato da inaccessibili burroni e occupato, tra l’850 e l’890, dagli arabi saraceni che qui stabilirono la loro base. La zona è collegata al resto del paese da una strada, denominata "petrizze", fatta costruire, nel 1600, da Carlo Doria, nipote di Andrea Doria, signore di Tursi. <+corsivo>’A Ravatène<+tondo> è la poesia più significativa e conosciuta di Pierro. Ma non si può venire a Tursi senza visitare il santuario di Anglona (monumento nazionale dal 1931 e pontificia basilica minore dal 1999), luogo simbolo dell’antica diocesi di Tursi-Lagonegro e ultima testimonianza dell’antica città di Anglona. L’attuale struttura è databile tra l’XI e il XII secolo ma risulta l’ampliamento di una preesistente chiesa del VII-VIII secolo.Viaggiando tra i Parchi letterari della Basilicata, ci si lascia conquistare dalle fedeli rievocazioni storiche che riportano il visitatore al tempo in cui poeti e scrittori hanno composto rime e romanzi. Come accade a Valsinni, sempre nel Materano, sede del Parco letterario "Isabella Morra" (il primo del Centrosud, essendo sorto nel 1993). Isabella è considerata une delle voci più importanti della poesia femminile del ’500. Il suo Canzoniere è assai noto. Una vita cupa quella della poetessa nata intorno al 1520 da una famiglia nobile. Non si allontanò mai dal castello di Favale (l’antico nome di Valsinni), soffrendo la solitudine e trovando conforto nello studio delle lettere e nella poesia. E, più avanti, nella religione, vista come una liberazione dagli affanni dei sogni terreni. Quando Isabella conobbe il vicino feudatario don Diego de Sandoval de Castro, erede del feudo di Bollita (oggi Nova Siri), intravide la possibilità forse di un amore, forse di un sogno di fuga verso terre culturalmente più evolute. Ma i fratelli di lei, accortisi della corrispondenza epistolare tra i due, uccisero Isabella, probabilmente per l’odio nei confronti degli spagnoli. Isabella morì a soli 26 anni.Fu Benedetto Croce a riscoprirne gli scritti e a recarsi, nel 1928, nei luoghi «dove fu vissuta quelle breve storia e cantata quella dolorosa poesia». Più recentemente, Dacia Maraini le ha dedicato un’opera teatrale. Il Parco letterario di Valsinni di fatto materializza il rapporto tra luoghi e poesia; specie nelle serate estive ("L’Estate di Isabella"), i visitatori sono accompagnati da cantastorie, giullari e menestrelli nei vicoli dell’antico borgo di Favale, dominato dal castello. I personaggi dell’epoca vengono rievocati da attori-animatori in costumi d’epoca. E anche i sapori della tavola meritano un viaggio in quello scenario un po’ onirico che sa ancora regalare una coinvolgente atmosfera rinascimentale.