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Enti lirici. Musica, la stagione dell’incertezza

Pierachille Dolfini martedì 16 settembre 2014
«Vita normale del teatro». Così Alexander Pereira riassume sinteticamente gli incontri con i rappresentanti sindacali dei lavoratori del Teatro alla Scala. Di rientro a Milano dopo qualche giorni di vacanza il neosovrintendente ha voluto fissare in agenda una serie di faccia a faccia con i rappresentanti dei lavoratori. Che ha messo subito al centro del suo mandato: il primo settembre, iniziando il suo incarico, Pereira aveva voluto incontrare tecnici e macchinisti sul palco del Piermarini. Dando subito loro appuntamento per una serie di incontri con Cgil, Cisl, Uil e Fials che hanno preso il via ieri. Vita normale del teatro, certo. Ma sul tavolo ci sono diverse questioni. Prima fra tutte l’autonomia del teatro. Ma un nodo da affrontare è anche quello legato alle nuove regole imposte dal decreto del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo: per accedere ai contributi del Fondo unico per lo spettacolo è necessaria una programmazione triennale (che i teatri lirici, visto che le agende degli artisti sono tutte proiettate in avanti, già hanno) che impone certezze economiche per garantire le produzioni. Cosa che oggi, vista la crisi e il rischio di alcuni sponsor, è sempre più difficile.Tanto che la “missione impossibile” di Pereira è quella di trovare nuovi sponsor – che il manager austriaco comunque assicura di aver già trovato – per garantire solide basi economiche al teatro. E se tutto questo non bastasse per iniziare, le nove regole del decreto Franceschini impongono per i lavoratori trattenute sullo stipendio nei primi giorni di malattia che, tenendo conto del contratto integrativo, possono arrivare anche al 50% della retribuzione: per dire il loro dissenso i lavoratori della Scala lo scorso giugno avevano scioperato facendo saltare una recita del mozartiano Così fan tutte.Ma i nodi che Pereira deve affrontare non sono solo sindacali. Le rogne artistiche si sono moltiplicate. Salta il Werther di Massenet previsto per novembre. Anche il direttore d’orchestra Georges Prêtre, prossimo ai novant’anni, ha dovuto cancellare la sua presenza sul podio per via della rottura del femore. Prima di lui a rinunciare alla produzione era stato Roberto Alagna: il tenore francese ha detto no al suo ritorno alla Scala per paura delle contestazioni. E Pereira, che già aveva chiesto una tregua ai loggionisti e ai contestatori, è dovuto tornare sulla questione dei fischi che tengono lontani i grandi artisti da Milano.Dopo la pausa estiva la stagione, dunque, riparte in salita. La Scala lavora a già pieno ritmo: domani il sipario si alza sulla danza con la ripresa del Don Chisciotte di Nureyev, ma in calendario c’è già il grande ritorno della musica sacra con Zubin Mehta che il 29 settembre dirige La creazione di Haydn e Riccardo Chailly che il 3 ottobre dedica alla memoria di Claudio Abbado la Messa da Requiem di Verdi. Ma per altri teatri lirici l’incertezza è all’ordine del giorno.Due i casi più eclatanti, scoppiati nelle ultime settimane, al Regio di Torino e al Carlo Felice di Genova. Nel capoluogo piemontese le tensioni che da mesi covavano tra il sovrintendente Walter Vergnano e il direttore musicale Gianandrea Noseda sono venute a galla: il direttore d’orchestra ha fatto sapere che non avrebbe rinnovato il suo contratto in polemica con il sovrintendente (anche lui a fine mandato), sordo alle sue richieste di nominare un direttore artistico. Orchestra schierata con Noseda, politica, ovvero il sindaco Piero Fassino, con Vergnano. Ma il primo cittadino, nelle vesti di presidente del cda del teatro, non è riuscito a riportare la pace in teatro e nemmeno a garantire la riconferma per il quarto mandato di Vergnano: sul suo nome da indicare al ministro Franceschini per la nomina non c’è stata intesa. Tutto congelato, dunque. Anche se la nuova stagione del Regio è ai blocchi di partenza: si inaugura il 7 ottobre con un Requiem verdiano diretto da Noseda che ha assicurato che onorerà gli impegni già presi.Un centinaio di chilometri ed ecco un altro teatro nel caos, il Carlo Felice di Genova. Qualche giorno fa il sindaco del capoluogo ligure, Marco Doria, nella sua veste di presidente del consiglio di amministrazione del teatro, ha dato il benservito al sovrintendente Giovanni Pacor: licenziamento in tronco e sostituzione con Maurizio Roi. Il nuovo caso del Carlo Felice, già commissariato e sull’orlo della liquidazione, ma poi salvato in extremis, era nato per i milioni di euro di interessi non dovuti a Banca Carige, andati a gravare sul bilancio del teatro.Tutti segnali che dicono come i teatri lirici in Italia siano in sofferenza. La conferma dalla serie di scioperi, con conseguente cancellazione delle recite di Bohème , che quest’estate ha visto i lavoratori dell’Opera di Roma incrociare le braccia contro il piano industriale per la ristrutturazione del teatro. Inoltre lo spettro del commissariamento incombe su diverse istituzioni: da gennaio a reggere le sorti del Teatro San Carlo di Napoli c’è Michele Lignola, già direttore generale della sezione partenopea di Confindustria. Al Maggio Musicale fiorentino il ministro Franceschini ha nominato sovrintendente Francesco Bianchi che per diversi mesi ha guidato il teatro come commissario straordinario.Il panorama nel quale si inserisce la riforma voluta dal ministro Franceschini (revisione del Fus e triennalità nella programmazione) vede i teatri fare i conti con diversi problemi. Questioni artistiche e sindacali. E poi economiche. A fronte di una diminuzione dei fondi pubblici la crisi costringe a fare i conti con l’assottigliamento delle risorse che provengono dagli sponsor. Gli enti lirici sono diventati fondazioni, ma i benefici che si speravano non sempre si sono resi evidenti.