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Cinema. La favola di Mowgli è un reality

LUCA PELLEGRINI giovedì 14 aprile 2016
La giungla ha le sue leggi e i suoi misteri. Ebbe anche i suoi due Libri, che Rudyard Kipling pubblicò nel 1894 e l’anno successivo. Lo scrittore britannico, che nel 1907 ricevette il Premio Nobel, non senza qualche critica, conosceva bene l’India, essendoci nato, e l’Impero britannico, che lo aveva educato ai suoi valori e a quelli del colonialismo. Non immaginava certo che sessant’anni dopo un geniale americano, che stava gettando le fondamenta di un ben diverso impero, forgiato su disegni animati e un’inesauribile fantasia, si sarebbe interessato con preveggente intuizione al suo Mowgli “cucciolo d’uomo” e agli amici che lo seguono, chi per proteggerlo, chi per mangiarselo: l’orso Baloo, la pantera Bagheera – che «aveva una voce dolce come il miele selvatico che cola da un albero, e la pelle più morbida del velluto» –, il pitone Kaa o la tigre Shere Khan. Walt Disney – che il destino volle scomparisse proprio durante la lavorazione, piuttosto tormentata, del suo Libro della giungla, apparso nel 1967 e da subito un enorme successo – aveva acquistato i diritti del capolavoro di Kipling senza avere bene in mente come condensare in un film quella serie di racconti narrativamente piuttosto disordinata, perché in Kipling il piccolo eroe andava avanti e indietro non solo nel tempo, ma nei luoghi, ossia la giungla – il terreno della crescita e dell’apprendistato – e il villaggio – l’approdo all’età matura. Walt lo sapeva: «È sempre una sfida portare sullo schermo un grande classico, dare una forma visiva a personaggi e luoghi che esistevano solo nell’immaginazione ». A tal punto che all’inizio delle riunioni di lavoro aveva ordinato addirittura di gettarsi il libro dietro le spalle e non leggerlo! Si creò, inevitabile, la prima, clamorosa rottura nel team, con l’abbandono del fidato Bill Peet dopo che per un anno aveva lavorato all’adattamento, ma i cui risultati erano risultati distanti sia da ciò che Kipling aveva scritto, sia da ciò che Disney aveva immaginato. Quest’ultimo voleva, infatti, una storia più semplice, solare e divertente, che si addensasse meno sull’aspetto pedagogico dello scrittore e più su quello ludico dell’animatore. Così per Mowgli si inventò di sana pianta un viaggio, dalla giungla alla civiltà, come una vera odissea tra pericoli e tentazioni, amicizia e spensieratezza, diventando centrale la responsabilità di Baloo – in Kipling un orso serio e assonnato, in Disney pigro, spensierato e amante della danza – di far tornare sano e salvo il suo piccolo amico al villaggio degli uomini, da entrambi inteso come il finale naturale del film. Pur con un rimpianto, mentre Mowgli segue una dolce fanciulla: «Sarebbe stato un orso coi fiocchi». Il Libro della giunglaera diventato così una colorata avventura musicale con numeri davvero indimenticabili, come la danza dell’orango Re Luigi e la ballata di Baloo «Ti bastan poche briciole lo stretto indispensabile e i tuoi malanni puoi dimenticar». Quasi cinquant’anni da allora sono passati e ora alla Disney danze e canzoni sono state rimosse – tranne la doverosa citazione di quella di Baloo – e l’animazione ha ceduto il passo alla realtà, con il nuovo Libro della giungla diretto da Jon Favreau, nei cinema da oggi, che mescola performance live action con incredibili ambientazioni digitali in cui sono state create più di settanta specie diverse di animali grazie a tecnologie all’avanguardia, unico attore il dodicenne Neel Sethi scelto per interpretare Mowgli. «Siamo rimasti fedeli ai personaggi del film originale – confida il regista – ma abbiamo anche catturato il realismo e lo spessore delle storie di Kipling, il fascino mitico dei suoi racconti. Per questo ci ha guidato l’idea della giungla come luogo pieno di pericoli, un posto poco sicuro per un bambino, la cui sopravvivenza non è affatto scontata. Ma lì si compie il percorso di maturazione di Mowgli, che diventa il nostro piccolo eroe». Molto meno sorridente che nel cartone animato. «Mi piace che Mowgli sia un ribelle – conclude Favreau – che si metta sempre nei guai. È un bravo bambino che non si lascia intimidire dai grandi animali selvaggi che lo circondano, una galleria di personaggi che diventano archetipi, anzi si sente completamente a suo agio tra di loro. È un tipo tosto, ma è anche emotivamente vulnerabile, in particolare con Baloo». Sulla sua pancia, canticchiando, attraverserà anche questa volta un placido fiume.