Agorà

Ricordo. Addio a Pelé, il più grande del calcio: tre mondiali vinti e 1.281 gol segnati

Massimiliano Castellani giovedì 29 dicembre 2022

Pelè

Dopo El Diego anche O Rei. A 82 anni se ne vola via anche l’altro simulacro del football, il vero Re del Brasile, anzi del mondo della memoria di cuoio: Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelè. Si porta via con sé anche l’arcano secolare: meglio Pelé o Maradona? Quel raffinato intellettuale di Vladimir Dimitrijevic (1934-2011, editore - Éditions L’Âge d’Homme - e scrittore serbo, naturalizzato svizzero), nel suo splendido saggio La vita è un pallone rotondo(Adelphi) questo annoso nodo agli scarpini l’aveva sciolto.

«Pelé ha cercato di piacere ai giornalisti, è diventato un idolo e "yes-man" dei politici. Io preferisco coloro che hanno conservato l’impertinenza dei fanciulli. È un gran bene per la società che vi siano degli adulti ma io preferisco Maradona. Uno dei miei amici mi ha detto: "è un giovinastro". Sì, e io lo amo per questo. Egli ha provato tutto, egli è stato punito...». Punti di vista. La realtà è che tra Edson Pelé e Diego Armando Maradona passano vent’anni e mille gol di differenza, tutti a favore del brasiliano (1.281 reti segnate in carriera, anche se il numero dicono in molti che sia leggendario quanto l’autore, ma comunque riconosciute dalla Fifa in 1.363 partite).

Identiche sono le origini, la povertà da favela (la Bauru di Pelé, 300 km a nordovest di Santos, stato di San Paolo) o da barrio (Villa Fiorito di Maradona, villa de emergencia a sud di Buenos Aires) e quel passo diverso dal resto dei comuni mortali del pallone. Perché uno, Pelé è "O Rei", il re del popolo del fútbol bailado, l’altro El Diego è la Mano de Dios in eterno ricordo della mano divina che insaccò in rete contro gli odiati inglesi usurpatori delle Insole Malvinas (per l’esercito di sua Maestà le Falkland).

Una rete da titolo Mundial per l’Argentina a Messico 1986. L’unico vinto da Maradona, mentre Pelé vantava il record insuperato dell’unico calciatore che ha conquistato tre Coppe del Mondo, nelle edizioni di Svezia ’58, Cile ’62 e quella della finale con la Nazionale di Ferruccio Valcareggi a Messico ’70, quando gli azzurri arrivarono a sfidare la Seleçao di O Rei dopo aver vinto la partita del secolo: Italia-Germania 4-3. Altro primato che resiste è quello di Pelé «più giovane debuttante-marcatore a un Mondiale»: il primo gol lo realizzò al Galles a 17 anni e 239 giorni e cinque giorni dopo rifilò la prima tripletta iridata alla Francia del bomber Fontaine.

L’ultimo sigillo se lo tenne per la finale contro la Svezia padrona di casa e favorita del torneo. Una vita da campione al di là della critica di troppo vicino ai palazzi e poco “o povo” per il quale l’eroe insuperato rimane Manè Garrincha. Un vecchio detto brasiliano recita infatti: «Quando parli di Pelè la gente si toglie il cappello, quando si parla di Garrincha il popolo piange». Ma ora il Brasile tutto, piange anche per il suo Re, simbolo vivente di quell’ «Ordem e Progresso» che campeggia sulla bandiera verdeoro.

Per le generazioni pre-Maradona lui resta il 10 per antonomasia. Il bambino d’oro che riuscì a coronare il sogno prima di tutto di papà Dondinho. Ex calciatore dalla carriera stroncata sul nascere per un infortunio alla gamba (vanta un solo record non superato dal figlio: in una partita fece 5 gol di testa) insegnò al suo pupillo l’arte della “Ginga” calciando e palleggiando i frutti di un albero di mango. Allenamenti che avvenivano nelle pause pranzo dal lavoro di inserviente d’ospedale. Prima di vomitare per la tensione accumulata alla vigilia delle partite importanti, Pelé da bambino era preda della nausea dei cessi e dei pavimenti da lavare assieme ai genitori.

La folgorazione per la maglia verdeoro fu un sogno ad occhi aperti ascoltando la radio. Aveva 9 anni quando ascoltò la drammatica radiocronaca del Maracanazo la Coppa Rimet persa in casa dal Brasile e consegnata all’Uruguay di Ghiggia e Schiaffino. Per consolare il padre più affrranto di lui, il piccolo Pelè quel giorno fece la promessa solenne: «Un giorno papà, la vincerò io la Coppa del Mondo».

Quel giorno non era affatto lontano, otto anni dopo allo stadio Råsunda di Stoccolma il sogno si era realizzato. Poi quel sogno mondiale si sarebbe ripetuto lasciando ai posteri il suo magnifico tris personale. Ma quella prima volta in Svezia è stampata nella memoria di cuoio per sempre, come la nascita della stella più luminosa. La stella di Pelè, la cometa del calcio che da lassù continuerà a illuminare ancora l’universo.