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Cinema. Viggo Mortensen: «L'America razzista del passato per parlare del presente»

Alessandra De Luca mercoledì 30 gennaio 2019

Viggo Mortensen, a sinistra, e Mahershala Ali, in una scena del film di Peter Farrelly, “Green Book”, dal 31 gennaio nei cinema italiani / Patti Perret/Universal Pictures/AP

«Ogni generazione fa i conti con il problema della discriminazione e del razzismo, per questo è sempre il momento giusto per un film come Green Book, che invita a riflettere sulle parole che usiamo e i comportamenti che adottiamo». Così ha puntualizzato Viggo Mortensen agli ultimi Golden Globe, dove il film diretto da Peter Farrelly e distribuito da Eagle da domani, ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura, per la migliore commedia e per l’attore non protagonista, Mahershala Ali. A Mortensen, divenuto una star grazie al ruolo di Aragon nella trilogia de Il signore degli anelli, Farrelly ha affidato il ruolo di Tony Vallelonga, detto Tony Lip, che nell’America del 1962, quando il night club di New York dove lavora come buttafuori chiude per lavori di ristrutturazione, accetta di fare da autista al pianista afroamericano Don Shirley, accompagnandolo in tour nel sud degli Stati Uniti. Candidato a cinque Oscar, il film, il cui titolo fa riferimento a The Negro Motorist Green Book, una guida su come muoversi negli stati americani in cui era in vigore la segregazione razziale, racconta dunque un viaggio che sarà al- l’origine di una grande amicizia tra i due uomini, appartenenti a mondi molto distanti, ma anche di una importante crescita personale. «Inizialmente non ero affatto sicuro che interpretare un italoamericano fosse una buona idea», ci racconta Viggo, che abbiamo incontrato all’ultima Festa del Cinema di Roma.

«Poi però ho conosciuto Nick Vallelonga, figlio di Tony e co-sceneggiatore del film, ho incontrato tutta la sua famiglia e mi sono finalmente rassicurato. Ho fatto loro visita a New York e in New Jersey, ho trascorso ore e ore a guardare fotografie, ad ascoltare racconti su Tony e a mangiare fino a scoppiare. Ho osservato il loro modo di parlare e di muoversi, imparando a parlare un miscuglio di americano, napoletano, siciliano, calabrese. Ingrassare di oltre venti chili poi è stato facilissimo seguendo la dieta di casa Vallelonga». La maniacalità con la quale Viggo si cala ogni volta nei suoi personaggi è ormai leggendaria, e anche questa volta premiata con una nomination all’Academy Award. «Mi ha aiutato molto indossare la catena di Tony e poi mi sono immerso nella sua cultura ascoltando la musica che piaceva a lui, ho trascorso molto tempo nel suo quartiere e il figlio Nick era ogni giorno sul set, pronto a rispondere a tutte le mie domande. Nonostante Tony Lip sia apparso in qualche film di Martin Scorsese e abbia interpretato Carmine Lupertazzi nella serie tv I Soprano, nessuno lo conosce, eppure mi sentivo esattamente come quando mi sono preparato per vestire i panni di Burroughs e Freud. Sentivo un grande senso di responsabilità verso la famiglia Vallelonga e vedere Nick commuoversi fino alle lacrime su set era la conferma di aver fatto un buon lavoro». Il primo a sorprendersi della sceneggiatura scritta da Farrelly (con Nick Vallelonga e Brian Hayes Currie) è stato lo stesso attore, abituato ad associare il nome del regista a ben altre commedie, più sgangherate e demenziali. «Lo script è uno dei migliori che mi siano mai capitati tra le mani, molto diverso da quelli dei film che Peter aveva precedentemente scritto. È molto divertente, lui è un grande maestro nei tempi comici, al punto da far diventare un attore brillante persino me. Mi fa ridere soprattutto il contrasto tra due uomini, così diversi tra loro. Ma poi la storia prende una piega diversa, diventa struggente, coraggiosa, drammatica. Il forte legame di amicizia tra il rozzo e vorace autista e il raffinato musicista nasce dal fatto che sono costretti a superare insieme molti ostacoli, andando oltre pregiudizi, odio e stereotipi».

Green Book riporta Viggo sullo schermo a due anni da Captain Fantastic, dove interpretava un padre sui generis , impegnato ad allevare i suoi figli in una foresta lontana dalla cosiddetta società civile. Poi lo abbiamo perso di vista per un paio di anni, durante i quali l’attore ha perduto entrambi i genitori. «Insieme a mio fratello ho speso molto tempo con loro prima che se ne andassero. Qualcuno potrebbe pensare che sia tutto tempo sottratto alla propria vita, ma per me è stato importante farmi coinvolgere dal loro declino, fino alla fine. E poi ho il privilegio di poter aspettare il progetto giusto, e quindi aspetto. In questi due anni ho anche scritto molto, pubblicando con la mia casa editrice, la Perceval Press, una nuova collezione di poesie in lingua spagnola, Lo que no se puede escribir, che ha un doppio significato: “quello che non è possibile scrivere” e “quello che non si dovrebbe scrivere”. Versi che parlano di mortalità, delle mie memorie di bambino, della vita, insomma. E poi lo scorso 20 ottobre ho compiuto 60 anni. Mi ero appena abituato a essere considerato un cinquantenne, che eccomi scaraventato in un’altra decade!». Il sessantesimo anno di Viggo vedrà anche il suo debutto dietro la macchina da presa con un film dal titolo Falling, dove interpreta il figlio di un ottantenne che comincia a soffrire di demenza senile, a dimenticare, a confondere il presente con il passato. «Ambientata nel 2008, la storia si concentra sul difficile rapporto tra padre e figlio che sul passato, e in particolare sulle ragioni che hanno spinto la moglie dell’anziano ad abbandonare la famiglia anni prima, hanno memorie e punti di vista molto diversi. A volte capita che una relazione importante finita male condizioni la vita di una persona».