Agorà

Mondiali. Il sogno di un gol, mito di tante nazionali

Lorenzo Longhi martedì 26 giugno 2018

L’essenza di un Mondiale di calcio risiede nei suoi paradossi, quando tutto e il suo contrario formano l’incastro perfetto. Inghilterra-Panama di sabato ad esempio, una partita in cui non c’è partita, con gli inglesi che ne fanno sei e potrebbero farne dieci se proprio volessero, mentre la nazionale dell’istmo - già sconfitta nettamente dal Belgio nel primo turno del girone - più che altro mena perché non può o non sa fare altro ma alla fine segna il punto della bandiera ed ecco allora un 6-1 senza storia che è già letteratura e, garantito, alla vigilia della prossima Coppa del Mondo fatti e misfatti di questo incontro saranno sviscerati dalle decine e decine di libri che ogni quadriennio invadono i cataloghi delle case editrici in vista del Mondiale. Perché Harry Kane, uno che già fra nome e cognome ha un titolo, fa tre gol di cui uno del tutto fortuito ma di tacco, perché Panama ne prende nove in due gare e solo Zaire e Haiti nel 1974 avevano fatto peggio, perché infine Felipe Baloy, difensore panamense di anni 37 e veterano della selezione, mette in rete la prima rete di sempre della sua nazionale ai Mondiali, tutta Panama festeggia l’impresa che neutralizza la figuraccia e il passo dalla storia all’epica è un attimo.

Accadde anche a Luis Zapata, “El Pelé” di Salvador, del resto in un 1-10 d’antan a favore dell’Ungheria. Perché nel Mondiale c’è spazio per tanti, e Panama non è nemmeno la peggiore nazionale delle 32 presenti in Russia, almeno se si ragiona in base al ranking Fifa (l’ultimo è aggiornato al 7 giugno), che ha più di un difetto ma almeno segue un criterio e racconta che l’Arabia Saudita, dal basso della sua posizione numero 67 è la rappresentativa di livello inferiore, aspetto questo non smentito peraltro da quanto visto sui campi. Poteva esserci la Siria (73esimo posto), battuta solo allo spareggio e ai supplementari dall’Australia, ma pronta a riprovarci in chiave 2022 quando ci sarà il Qatar, paese organizzatore e pertanto qualificato di diritto, attualmente accreditato del posto numero 98 del ranking (su 211 federazioni riconosciute): potrebbe essere il più basso in grado. Ma è impossibile escludere che non possa entrare in gioco almeno una nazionale attualmente dalle parti della centesima posizione, tipo la Corea del Nord che, di tanto in tanto, azzecca la qualificazione giusta.

Oppure il ritorno di Israele (posizione 93 ora, quota Uefa), e magari proprio il Kosovo che a questo Mondiale non c’è - è stato riconosciuto dalla Fifa solo nel 2016 - ma è come se ci fosse considerando prodromi e postumi di Svizzera-Serbia, e che sta muovendo la classifica (ranking 141, ma ha migliorato di 33 posizioni in un anno) nonostante l’assenza di stelle, considerando che diversi calciatori che avrebbero potuto optare per il Kosovo grazie ad una deroga Fifa fra i quali proprio Granit Xhaka e Xherdan Shaqiri hanno preferito continuare altrove. Il sogno Mondiale però ha soprattutto una data: 2026, quando la manifestazione si giocherà tra Stati Uniti, Canada e Messico. Tornerà appunto il Canada, ma le partecipanti diventeranno 48 e ciò significa espandere il bacino delle qualificate di un terzo: le porte saranno apertissime e chi potrà disporre di una inedita generazione di talenti autoctoni - in stile Islanda - avrà tutto per provarci.

In prospettiva, i recenti Mondiali Under 20 e Under 17 lasciano ipotizzare nel Venezuela e nello Zambia, nel Mali e nel Niger possibili partecipanti. Ma l’esplosione islandese e le sue peculiarità devono lasciar sperare tutti o quasi. Molto dipenderà dai criteri geografici che la Fifa individuerà per dare rappresentanza alle varie confederazioni. Così è pressoché sicuro che avrà spazio fisso almeno una nazionale della Ofc, quella oceanica, e magari quel posto potrebbe non essere appannaggio della Nuova Zelanda, ma delle Isole Salomone, di Tahiti o della Nuova Caledonia. Ma aumenterà di due o tre presenze anche il lotto Uefa, quello europeo che la tradizione calcistica ce l’ha davvero, e a quel punto perché non dare chance a Montenegro e Macedonia, a Cipro, persino alle Fær Øer, o a nazionali che sembrano essersi irrimediabilmente perse, come la Scozia.

Più difficile, per questioni di numeri, che baciati dalla grazia siano Gibilterra o San Marino - le ultime due europee del ranking - ma in fondo l’Islanda nel 2010 era alla posizione 112, nessuno la calcolava e forse nemmeno i più ottimisti avrebbero immaginato una scalata così poderosa. Eppure nulla nasce dal caso, più o meno tutte le nazionali si trovano in casa in un determinato periodo storico una propria generazione d’oro, e con l’allargamento del Mondiale anche le candidate più improbabili possono diventare mine vaganti nei gironi eliminatori delle qualificazioni confederali: è già accaduto, accadrà con maggiore frequenza anche in futuro, e pazienza se poi, una volta al Mondiale, saranno seppellite di gol come Panama. Dopo tutto l’allargamento non sottosta a logiche di democrazia rappresentativa ma di profitto, logiche che, per eterogenesi dei fini, creeranno nuove piccole favole del pallone.