Agorà

Intervista. Minghi: canto il mio amore per lei

Andrea Pedrinelli sabato 11 ottobre 2014
Cantar d’amore: bellissimo, ma anche terribile. Incontriamo il maestro del nostrano cantar d’amore, Amedeo Minghi, alla vigilia del suo tour fra States e Canada, dove (come in Brasile) ha schiere di fan. Si dovrebbe parlare di quello, del successo di Emanuela e io (brano dell’84) in Repubblica Ceca, di Justin Timberlake che su una sua melodia ha costruito una hit, del nuovo disco Suoni tra ieri e domani: live piano e voce in cui l’artista si riappropria di veri gioielli (L’amore, Solo all’ultimo piano, Il profumo del tempo, Firenze piccoli particolari) donati negli anni ad altri (Morandi, Bocelli, Mietta, Oxa, Mia Martini, Katia Ricciarelli). Ma c’è un inedito, nel disco. Si intitola Io non ti lascerò mai, canta "Un’altra vita eravamo noi / E adesso sì che sto imparando a stare nel mondo / ancora qui… per noi". Non c’è retorica, sono parole vissute, quasi incise nel volto sofferto e nella voce che trema di Minghi, quando parla di lei. Elena, sua moglie, morta nel sonno il 7 gennaio, pochi mesi dopo le feste per i 40 anni di matrimonio. Una tragedia vissuta con dignità nel silenzio, di cui ora Minghi parla per la prima volta con la forza di dire, e cantare, ancora d’amore. Il suo amore, anzi «il nostro amore: per cui vado avanti, anche se è non è facile». Dove trova la forza per un disco e per cantare in tour, a pochi mesi da un lutto tanto pesante? «Il disco era già registrato. Cantare dal vivo… È un’altra cosa. Pochi giorni dopo la morte di Elena avevo un concerto a Roma. Tutti pensavano sarebbe saltato, ma lei non avrebbe voluto. E l’impatto fu spaventoso: pubblico in piedi per quindici minuti, piangevano con me. Poi ho trovato la forza per cantare, è stato uno dei miei più bei concerti. Ma non so dove l’ho trovata». E ora? L’energia di lavorare dove la cerca? «Sono un credente, anzitutto. Poi mi aiutano le mie due figlie, il nipotino, e l’amore nostro, mio e di Elena. Che vive ancora e l’ho messo nella canzone nuova, senza nascondermi. Anche la canzone, sa, c’era già. Meglio, c’era la musica che a Elena piaceva moltissimo, l’unica frase che avevo appuntato era 'Io non ti lascerò mai'. Il testo l’ho terminato dopo la tragedia. Ma non è solo una dedica, tutte le mie canzoni d’amore parlano di lei. Glielo dovevo». È cambiato il suo rapporto con la musica? «Non lo so ancora. Non credo. Per ora ho soprasseduto sul progetto di scrivere con Mogol un disco. Non mi sentivo di occuparmi di canzoni in quei giorni, in quei mesi. Non potevo non completare quella di cui le parlavo, ma altro… Magari riprendiamo nel 2015, due pezzi sono già finiti, quattro abbozzati». Fortunatamente le soddisfazioni professionali ci sono. Di cosa va più fiero, del suo oggi artistico? «Sapere che il 24 mi aspettano a Praga per il primo posto di  Emanuela e io, aver visto un telegiornale russo su una mostra di pittura e poesia ispirata a miei brani, il singolo di Timberlake imperniato su un mio pezzo del ’72 e usato per presentare il suo disco a Londra e Los Angeles… La canzone italiana funziona, siamo noi che la sottostimiamo. Siamo masochisti, temo». Per la seconda volta, dopo un Dvd di riletture live di tutta la sua carriera, tenta di storicizzare il suo repertorio: col nuovo Cd un libro, dove valorizza l’epoca d’oro della canzone. Che aspettative ha? «Il 30 lo presento alla Sapienza, e gli studenti di lì hanno fatto il video del brano nuovo. Penso che la mia generazione abbia prodotto cultura nella canzone: venivamo da Lauzi, Endrigo, Bindi, il concetto era una canzone che durasse nel tempo. Anche questi brani che ricanto non erano scritti 'per la Oxa' o 'per Bocelli', era l’apertura dell’autore nel condividere il suo mondo con altri. Oggi si devono seguire standard che nulla hanno a che fare con l’arte. Io vorrei che i giovani capissero che la buona musica non è quella 'radiofonica', ma quella che entra nei nostri ricordi, nella nostra vita». Ci sono brani che ci teneva di più a riprendere? «Ad alcuni sono legato, Fijo mio spinse Califano a divenire anche cantante, prima scriveva solo testi. Ma soprattutto volevo riportare i pezzi alla loro essenza piano e voce. Anche per sottolineare che oggi si pensa alla parola gridata, per l’acuto. Noi si pensava alla parola cantata, per dire. E mi risulta che io, Baglioni, De Gregori, siamo qui da 40 anni». Riprenderà anche i concerti sulla fede? «No: ma vorrei pubblicarne i brani. Ho scritto sulle Beatitudini, sul Cantico delle Creature, ho musicato Padre Nostro e il discorso del 'Non abbiate paura' di Wojtila. Sono su iTunes, ma penso di farne un disco». Senta Minghi, ma oggi lei si riconosce ancora nell’etichetta del maestro del cantar d’amore? «Farlo mi è stato spontaneo. E forse lo fanno tutti, anche Vasco, certo con sfumature diverse. Ma anch’io ce le ho messe, in Cuore di pace o in Gerusalemme che ho cantato come una donna, come accade nella Bibbia stessa. Certo la tragedia mi ha segnato. Farò un tour, poi vediamo. Come le ho detto, non credo che cambierò il mio rapporto con la musica: però su progetti inediti è presto per capirlo».