Agorà

Donne e motori. Le ragazze coraggiose della Mille miglia

Alberto Caprotti venerdì 15 maggio 2015
Mille miglia, cioè fascino. Fascino, cioè donna. Corsa, sostantivo innegabilmente femminile. Tre indizi non sempre fanno una prova, specie quando si parla di automobili, forse lo spazio con quattro ruote sotto più maschile che esista. Ma solo negli stereotipi. Perché la storia dice altro. E la leggenda della corsa più bella del mondo lo conferma. Partita ieri da Brescia, questa sera quella leggenda fa tappa a Roma, portandosi sulle ruote decenni di paesaggi, vetture da sogno, occhialoni e mezzi guanti da guida. Che hanno fasciato però anche tante mani femminili. Quest’anno gli equipaggi interamente composti da donne sono dieci, e tre i piloti femmina che guidano senza co-pilota. Millesettecentosessanta chilometri e 84 prove speciali da affrontare in tre giorni: possibili anche per il gentil sesso? Possibilissimi. Chiedere per conferma a Sylvia Oberti, la 'pilotessa' californiana che da più di vent’anni anni partecipa alle corse e ai rally più importanti a livello mondiale per raccogliere fondi per diverse imprese sociali. Donna abile e tenace, nel 1996 il 'Women’s Hall of Fame' l’ha nominata 'Outstanding Woman of the Year in Sports and Athletics' e lo stesso anno è stata ricevuta da Papa Giovanni Paolo II che offrì il sostegno della Chiesa Cattolica alla sua campagna di sensibilizzazione contro il cancro. Sylvia è stata la prima ed unica donna ad avere concluso guidando da sola la storica Mille Miglia: ieri è arrivata a Brescia da San Francisco e si è messa un’altra volta al volante della sua rarissima Siata 300bc spider del 1951. Su questa splendida vettura rossa è ancora una volta sola, insieme con il suo portafortuna Angelino, l’orsetto di peluche che dal 1992 la segue in giro per il mondo e con il quale ha già raccolto milioni di euro per beneficenza, grazie ad un accordo con alcuni sponsor che ad ogni chilometro da lei percorso corrispondono una somma da devolvere a favore di associazioni che si occupano di assistere bimbi malati. Ma la partecipazione al femminile ad una manifestazione automobilistica, nel solco del famoso detto “donne e motori, gioie e dolori” non può che rinnovare un eterno dubbio. Perplessità che risale ai primi anni di vita della automobile. O forse “del” automobile, se avesse avuto ragione Filippo Tommaso Marinetti, gran pilota del futurismo, che sosteneva l’assoluta mascolinità del mezzo meccanico. A sancire definitivamente che «l’automobile è feminile » (con una sola emme), fu invece il vate, Gabriele D’Annunzio. Sia pure con una motivazione assolutamente maschilista e totalmente infondata, almeno ai giorni nostri. Alla base della sua affermazione c’era infatti la convinzione che l’automobile «risponda docilmente ai comandi dell’uomo, proprio come le donne...». Donne docili e sottomesse? Le storie in rosa della Mille Miglia dicono esattamente il contrario. Lo raccontano prima di tutto le auto che hanno guidato. Se potesse parlare ad esempio, la splendida Alfa Romeo 6C 1500 GS Testa Fissa che ha vinto l’edizione 2012 della corsa racconterebbe una lunga e curiosa avvenutura. Quella di Anna Maria Peduzzi, appassionata donna-pilota conosciuta come la 'Marocchina' grazie alla sua pelle olivastra che, nel 1933 entrò a far parte della Scuderia Ferrari e proprio con la sua Alfa Romeo 6C 1500 GS Testa Fissa portò in quell’anno il Cavallino Rampante a vincere la Coppa Principessa di Piemonte. Ma la prima donna a correre la Mille Miglia (oltre alla targa Florio e la 500 miglia di Indianapolis) fu Maria Antonietta Avanzo, straordinaria donna-pilota che raccontò se stessa in una ironica autobiografia (“La mia vita a 100 all’ora”). Figlia di ricchi proprietari terrieri veneti, ebbe il suo primo incidente automobilistico a 13 anni quando, con la macchina rubata al padre, investì a Contarina il sindaco del paese. Fece parte nel 1923 della Squadra ufficiale Alfa Romeo e nel 1932 della Scuderia Ferrari. Pilota e pure crocerossina in tempo di guerra, specializzata nella guida dei camion; capace poi durante la guerra di nascondere gli ebrei, e pronta a correre con una Jeep al confine austro-ungarico - all’età di 67 anni - per accogliere i profughi durante la rivolta di Budapest. Lei, come molte altre, correva impolverata. Senza paura. Non possono dire altrettanto molte altre presenze femminili della corsa, finte protagoniste di contorno che la corsa ha sfruttato per ingentilirsi l’anima. Per parafrasare Manuel Vigliani, detto “il menestrello della 1000 Miglia”, le donne che hanno a che fare con la corsa si dividono infatti in diverse categorie. Alla prima appartengono quelle che pilotano una vettura. Alla seconda quelle che stanno al fianco del pilota: marito, padre o fidanzato che sia. E infine la terza categoria è quella delle donne che sopportano quelli che corrono (od organizzano) la Freccia Rossa. Poi ci sono le dive, le attrici, le donne di spettacolo. Spesso appartenenti contemporaneamente a più di una categoria. Come Ingrid Bergman, ai tempi sempre al seguito del marito, Roberto Rossellini, che prendeva parte alla gara sua Ferrari. Il celebratissimo regista del neorealismo italiano, disputava solo la prima parte della corsa: partiva da Brescia e si ritirava a Roma, dove Ingrid lo attendeva. Linda Christian invece è legata alla pagina più triste della Mille Miglia. L’attrice americana - più nota in Italia come consorte di Tyrone Power e madre di Romina che per le sue interpretazioni - dopo la separazione dal marito prese a seguire le corse di Alfonso Cabeza de Vaca, 17° Marchese De Portago, Grande di Spagna e nipote del Re. Alla Mille Miglia del 1957 la bella Linda salutò il pilota della Ferrari al passaggio di Roma. De Portago invitò la compagna a prendere un aereo per andare ad attenderlo a Brescia. Poche ore dopo, a Guidizzolo, 40 km da Brescia, Alfonso dopo aver forato una gomma a circa 300 km/h piombò sul pubblico, morendo sul colpo con il copilota e dieci spettatori. Tre giorni dopo il Governo, decretò definitivamente la fine delle corse su strada in Italia. Donne, donne e ancora donne. Come donna era la persona che meglio ha espresso il senso dell’automobile. Ada Negri, negli anni Venti, scrisse sul Secolo XIX: “Fra i piaceri moderni non ve n’è uno che sorpassi o uguagli quello di un viaggio in automobile. Nel veicolo nostro, obbediente a noi soltanto, che ci conduce soltanto dove il nostro capriccio vuole, il bisogno di libertà che è in noi diviene certezza di libertà, senso di plenitudine, d’evasione, di possesso dello spazio e del tempo, che trascende il limite umano”.