Agorà

Inter Milan derby scudetto. Milano vola

Andrea Saronni martedì 12 gennaio 2010
A Milano non fa freddo. È il titolo di un romanzo, bellissimo, di Giuseppe Marotta, buono all’uso di una metafora calcistica che sta assumendo, può assumere sempre di più i contorni di un altro bel romanzo. A scaldare i cuori ambrosiani, per chiunque essi battano, c’è il fatto che lo scudetto 2010, a meno di un colpo di scena degno di un kolossal americano, si cuce su una di quelle due ben note maglie. Uno scenario che consente di gonfiare il petto alla città che si ritiene, a torto o a ragione, la reale capitale del calcio italiano: il duello tutto rossonerazzurro per la supremazia si era fugacemente intravisto solo nel finale della scorsa stagione, con il Milan apparso a distanza di sicurezza negli specchietti dei mourinhiani. Oggi la corsa si preannuncia più lunga, forse più incerta e dunque appassionante.Il motoscafo Inter tira che è un piacere, il Milan è quello attaccato che fa sci nautico: e come sempre capita in questi casi, gli occhi di tutti sono sullo sciatore. Perché è più elegante, aggraziato, fa le cose spettacolari per chi sta seduto a guardare. A dispetto degli 8 punti di distacco (teorici, per ora: ma anche vincendo il recupero di Firenze siamo comunque alla rispettabile distanza di meno cinque), i rossoneri raccolgono più consensi di chi la classifica la comanda da sempre, o quasi. Merito di un impianto di gioco diventato davvero apprezzabile, di un’idea tecnica e tattica che nel bene e nel male produce partite tutto meno che scontate o noiose. E anche, con tutta probabilità, merito del sempre piacevole effetto sorpresa. Le 21.40 del 18 ottobre (intervallo di Milan-Roma, 0-1 per i giallorossi, prestazione ancora una volta sconcertante, rossoneri a due punti dalla zona retrocessione) sembrano lontani anni luce nei pensieri e nella forza di una squadra talmente rigenerata dal punto di vista mentale da trovare inattesi punti di forza. Tipo la "A2", nuova autostrada delle fasce composta da Abate e Antonini. Fuoriclasse, da quelle parti, non ce ne sono, ma ci sono ragazzi in gamba, concentrati, attenti, che sentono fame e l’orgoglio di giocarsi la chance della loro vita. La loro spinta è quella di Borriello e di Nesta, restituiti alla loro classe, di un Ronaldinho che, anche se alla moviola, si riscopre leader, uomo della differenza.Eppure questa iniezione di fatti e di convinzioni non basta al giro del Milan per pronunciarsi pretendenti ufficiali. I leader storici, come Nesta e Ambrosini, recitano la parte dei rassegnati al destino amico degli altri: «Se l’Inter vince partite come quella contro il Siena – ha detto il difensore negli spogliatoi di Torino – c’è poco da illudersi». Borriello, con un po’ più di spregiudicatezza e di ironia tutta napoletana sottolinea come «loro» siano «troppo più forti. E non hanno paura di nessuno». Della sfortuna, del fato, no di sicuro. Dalla collana degli episodi e di vittorie come quella di sabato, l’Inter trae sempre più forza, assoluta fede nei propri mezzi almeno in quell’Italia dove ogni cosa, a differenza che in Champions League, è sempre possibile. L’Inter guida il motoscafo, nessuno applaude, qualcuno persino critica. Forse perché va fortissimo: 45 punti, 41 gol segnati (la metà segnate dai due gioielli acquistati in estate, Milito e Eto’o: Moratti è finalmente diventato il migliore a spendere) e 17 reti subìte che significano miglior attacco e miglior difesa, imbattibilità casalinga di quasi due anni per la squadra e di quasi otto per il suo condottiero, José Mourinho. Il cui lunedì è stato disturbato, più che da pensieri inerenti al Diavolo, dal deferimento federale per lo scontro con l’inviato del Corriere dello Sport Andrea Ramazzotti occorso nel dopo-partita di Bergamo. C’è odore di squalifica, di un’altra puntata di “uno contro tutti”. È la «way to be», la maniera di essere sua e dell’Inter che tra due settimane, in un derby già gonfio di attese, ha la penna in mano: può decidere se questa storia milanese di scudetti appartenga alla categoria dei romanzi brevi o degli interminabili thriller alla Stieg Larsson. Se può essere di buon auspicio per Moratti, A Milano non fa freddo è decisamente breve.