Agorà

Basket. Milano che ride solo a canestro

Giuliano Traini sabato 12 aprile 2014
I primi a intuire che qualcosa stava cambiando sottocanestro sono stati i bagarini, ricomparsi in massa intorno al Forum di Assago. L’Armani Milano stava tornando a vincere le partite e a convincere i tifosi, ormai sul baratro della disillusione. E i biglietti per il basket tornati ad essere merce ricercata, soprattutto in occasione delle grandi sfide in Eurolega, dove in tre occasioni è stato registrato perfino il tutto esaurito, e con una cifra complessiva, almeno per ora, di 100mila presenze. Dopo anni di balbettii l’Olimpia Milano è tornata ad alzare la voce sul palcoscenico della pallacanestro italiana e l’eco si è sentito anche in Europa. In campionato le “scarpette rosse” hanno infilato la quindicesima vittoria di fila, in pratica, non ha mai perso nel girone di ritorno e, ora, punta a restare imbattuta negli ultimi quattro match per eguagliare il record stabilito da Varese nel ’76. Intanto l’Armani, con 6 punti di vantaggio sulle seconde, si è già assicurato il primo posto nella regolar season, cosa che non succedeva da 23 anni, da quando su quella panchina si era appena accomodato un certo Mike D’Antoni, l’attuale coach dei mitici Los Angeles Lakers. Altrettanta baldanza Milano l’ha ritrovata sul parquet europeo. In Eurolega la metamorfosi è stata ancora più evidente, con il secondo posto conquistato nella top 16 e l’accesso ai playoff contro una squadra “abbordabile” - se mai ce ne sono a questi livelli - come il Maccabi. In palio le Final Four che si giocheranno proprio a Milano. Un traguardo ambizioso, impensabile meno di quattro mesi fa, quando la squadra era in balìa dei soliti sbalzi di rendimento, quando il conto delle vittorie si equiparava a quello delle sconfitte. Sembrava che niente fosse cambiato nonostante tutto fosse diverso. L’arrivo di Daniel Hackett, come regalo di Natale, ha impresso la prima svolta: la squadra ha improvvisamente cambiato personalità. Ma il vero spartiacque è rappresentato dalla figuraccia rimediata in Coppa Italia: l’Olimpia eliminata subito, ai quarti, per di più giocando in casa e da grande favorita del torneo. Un momento delicato, di quelli che possono far esplodere il giocattolo. L’esplosione c’è stata davvero, ma nell’orgoglio dei giocatori che da quel momento si sono guardati negli occhi e nel portafogli: sono fra i migliori in circolazione nel Belpaese e anche i più pagati. E nonostante anni di delusioni il generoso mecenate Giorgio Armani non ha mai rinfacciato i tanti milioni spesi per accumulare più frustrazioni che sorrisi. La passione dello stilista ha continuato, imperturbabile, a credere che Milano potesse tornare la più forte di tutte e non si è lasciato abbattere dai tanti, troppi fallimenti. E da buon imprenditore quando ha visto che non riusciva a concretizzare un suo progetto vincente ha deciso di acquistarlo, ben confezionato, da chi lo aveva già. Così, complice la crisi societaria, in pochi mesi il gruppo di Siena si è trasferito da piazza del Campo a piazza del Duomo. A riconoscere il merito principale ad Armani è anche Valerio Bianchini, uno dei coach storici della pallacanestro italiana e grande avversario di Milano negli anni ’80 e ’90: «Tutti dobbiamo essergli grati. Anche perché cinque anni fa ha raccolto l’eredità di una grande piazza e ne ha impedito il declino. Una Milano forte fa bene a tutto il movimento cestistico nazionale. Ha faticato a imporsi perché la società non aveva una matrice sportiva ma aziendale. E ha avuto il grande merito di non arrendersi alle delusioni. Ha insistito fino ad adottare il più classico dei sistemi della migliore tradizione manageriale: se non riesci a battere l’avversario devi diventarne alleato». Così Luca Banchi, che fino a due anni prima era solo il secondo allenatore di Simone Pianigiani, è riuscito nell’impresa fallita perfino a Sergio Scariolo, uno dei migliori tecnici in circolazione, capace di portare la Spagna in cima all’Europa e all’argento olimpico dietro al “dream team” statunitense. «Scariolo ha poche colpe – afferma ancora un indulgente Bianchini –. È arrivato in una società che si stava formando e gli hanno caricato tutto sulle spalle, anche compiti al di fuori del campo. L’esperienza di Milano di questi anni ha, però, ribadito una grande verità: non basta inserire in squadra i migliori giocatori, il gruppo deve avere anche una forma, deve saper giocare in modo complementare. È come un casting cinematografico: non serve prendere i migliori attori per avere un grande film, anzi, spesso è il contrario». Dopo anni di bocciature per l’Armani è arrivato il momento di affrontare l’esame di maturità, un esame da sostenere su due diverse cattedre: campionato ed Eurolega. Milano non vince lo scudetto da 18 anni e la coppa da 26, troppo per una città che ha contribuito a scrivere la storia del basket. Ci sono un paio di generazioni di tifosi che non hanno memoria di una vittoria importante e c’è una nuova generazione di giocatori che ha fame di successi, come i giovani Nicolò Melli e Alessandro Gentile, diventati pedine fondamentali di questa nuova Milano. Soprattutto capitan Gentile cresciuto vertiginosamente quando ha dovuto sostituire l’acciaccato Langford, peccato che nel “derby” di domenica scorsa contro Cantù si sia infortunato mettendo a rischio il gran finale di stagione. Ecco, potrebbe essere proprio la variabile infortuni l’avversario più insidioso per questa squadra creata pensando proprio al doppio impegno. Ma «bisogna sempre restare con i piedi per terra: io ho sempre detto che la mia era una grande squadra solo dopo aver vinto lo scudetto», avverte il saggio Bianchini.