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La storia. Merritt: «Oltre la malattia il mio salto più grande»

Mario Nicoliello mercoledì 9 agosto 2017

Quando l’importante è esserci anche il quinto posto ha il dolce sapore dell’oro. Per Aries Merritt la rassegna iridata è il riscatto contro la ma-lattia, il ritorno dopo il trapianto di rene, la dimostrazione che niente può fermare un campione. Da Londra 2012 a Londra 2017 il cerchio si chiude. Cinque anni fa lo statunitense nato a Chicago, cresciuto in Georgia, laureatosi nel Tennessee e ora domiciliato a Bryan in Texas, è campione olimpico dei 110 ostacoli. Il globo è ai suoi piedi, la fama crescente. A 27 anni entra nella storia, siglando il primato mondiale due settimane dopo i Giochi, quando a Bruxelles divora il rettilineo con barriere in 12'80, crono tuttora immacolato.

Passa un anno, arrivano i Mondiali di Mosca e il circo non è più lo stesso. Finale acciuffata con fatica, sesta posizione stiracchiata. C’è qualcosa che non va. Merritt si sente male, è spossato, non recupera dopo gli allenamenti. Il responso delle visite mediche è letale: grave patologia renale per una malformazione genetica. La sua vita cambia, dalla corsia della pista a quella dell’ospedale. L’autunno 2013 e la primavera successiva volano tra una clinica e l’altra, con l’atleta che fatica a camminare e perde peso. Il fisico non assimila più i nutrienti, qualsiasi sforzo diventa inaudito. L’unica cosa possibile, dopo la dialisi quotidiana, è una breve corsetta. La cura subisce numerosi imprevisti, il rene migliora, ma il resto del corpo peggiora. Oltre che per la carriera si teme per la vita. Ma Aries si infischia delle chiacchiere dei medici e decide di tornare in pista. A maggio 2014 il primo meeting, a settembre il ritorno in Diamond League. Tutto in sordina: pochi sapevano della malattia. Non è al 100 per cento, ma preferisce correre piuttosto che aspettare di guarire in maniera passiva.

Nel 2015 da dializzato acciuffa la medaglia di bronzo ai Mondiali di Pechino. È giunta l’ora di rendere pubblico il dramma: «Sono venuto in Cina per la mia salute mentale, per distrarmi e non pensare a ciò che accadrà. Mi fa paura l’operazione che dovrò subire quando andrò a Phoenix». Dal podio mondiale alla sala operatoria il passo è breve. Aries si sottopone al trapianto di rene. La donatrice è sua sorella La-Tonya, otto anni più grande di lui. Nella primavera 2016 Merrit torna ad allenarsi in vista di Rio: «La malattia mi ha fatto cambiare la visione della vita, sono stato salvato da mia sorella. Non avevo un livello normale di sangue, i medici volevano che non corressi. La mia storia deve ispirare altri che stanno vivendo questo problema». Il sogno olimpico svanisce per la dura legge dei Trials. Quarto per un centesimo: tradotto niente pass per il Brasile. Merritt non demorde e dodici mesi più tardi ci riprova. Stavolta il biglietto per il Mondiale è staccato, così Aries si presenta in gara a Londra. Chiude quinto, ma nell’affollata zona mista dell’impianto di Stratford, riceve più attenzioni rispetto ai tre medagliati.

«Dovrei essere deluso perché non sono riuscito a prendermi la medaglia - racconta il trentaduenne con le treccine - , ma non posso esserlo. Dentro di me adesso sono felice per il solo fatto di essere insieme a voi a parlare di una mia gara. Calcare nuovamente il palcoscenico mondiale è una gioia indescrivibile ». Altro che ritiro. Merritt non lascia, anzi raddoppia: «È sicuramente possibile per me conquistare una medaglia in futuro, ora che ho avuto un corretto anno di allenamento ho capito che posso competere con i migliori». Insomma l’anno prossimo lo yankee pensa di poter ancora migliorare: «Già quest’anno ho fatto 13'09, ma non il giorno giusto. Dovevo farlo qui, non in precedenza». Avesse ripetuto lo stagionale Merritt avrebbe conquistato l’argento. Invece la sua corsa si è fermata a 13'31, appena tre centesimi più lento del terzo classificato, l’ungherese Balazs Baji.

Di certo Merritt non è stato aiutato dal sorteggio della corsia che gli ha regalato in sorte la linea più esterna: «Ho dato tutto me stesso, ma non sono stato pulito nell’esecuzione del salto. Ho sbagliato l’approccio ad alcune barriere». Pensieri che passano subito in secondo piano, quando si pensa alla parte piena del bicchiere: «Mi ha fatto piacere tornare a Londra perché qui ho vinto l’oro olimpico. La folla mi ha salutato molto calorosamente. Il mondo della velocità con ostacoli è in fermento, essere ancora parte della famiglia è fantastico». L’anno passato ogni salto gli procurava tanto dolore, soprattutto all’altezza della cicatrice, ora va meglio: «Non ho più male, sebbene dopo ogni gara avverta la stanchezza». Più forte di tutto, e contro il parere di molti, Aries è ancora ad attaccarsi un pettorale addosso. Perché Merritt ha una nuova missione: annunciare a tutti i trapiantati del mondo di non rassegnarsi, ma di andare avanti: «Come nei 100 ostacoli la vita è piena di barriere, ma l’uomo deve imparare a superarle, perché attraversare il traguardo dà un piacere immenso». Cala la notte sulla fresca estate londinese, ma il buio non cancella l’impresa del sopravvissuto. Nuovo messaggero della battaglia contro la malattia. ©