Agorà

Calcio e misteri. Mercato dei piedi, qualcosa non torna

Andrea Saronni mercoledì 24 giugno 2015
Il bello, o forse il brutto, è che ufficialmente deve ancora cominciare il calciomercato, questo strano e ormai indefinito segmento di tempo dell’anno in cui va in scena - parlano tirature di quotidiani sportivi, auditel, accessi ai siti web - lo spicchio di pallone preferito dagli italiani. Gran brutto segno, passatecelo, se la chiacchiera tira come e più di un gol, financo di una moviola. Un mondo parallelo in cui qualcuno, tuttavia, riesce a mettere insieme qualcosa di molto concreto.Tipo la Juventus, giusto per non fare nomi. La squadra che ha meno bisogni tecnici e finanziari, la società che proprio per queste ragioni ha un progetto tecnico vincente a cui dare continuità e maggiori disponibilità nate anche o soprattutto dal rendimento del campo, a riprova che il lato reale del calcio genera quello strategico ed economico. A una settimana dal fischio d’inizio ufficiale del mercato (via il 1 luglio, si chiude il 3 settembre, abbondantemente dopo l’avvio del campionato), Madama ha già rifatto un gran pezzo della sua bellissima facciata che perderà magnifici orpelli quali Tevez e Pirlo (lui a gennaio, va per dollari a New York), e forse uno tra Vidal e Pogba. Chi ha tempo - e soldi, e idee chiare - non aspetti tempo: sono già novelli bianconeri Mandzukic, centravanti croato di gol e sacrificio, Dybala, gaucho prodigio del Palermo chiamato a raccogliere l’eredità di Tevez, e ancora (a euro zero) Khedira, califfo incerottato del centrocampo tedesco campione del mondo, Rugani, ragazzo destinato a raccogliere anche in azzurro l’eredità della grande scuola italiana della difesa, Neto, portiere brasiliano ex Fiorentina e nuovo vice-Buffon. In più sono già fuori dalla porta della sede torinese i migliori giovani talenti offensivi italiani: Berardi, Zaza, Saponara.Difficile abbinare ai tira e molla della campagna acquisti, spesso pieni d’aria fritta, una politica come questa. La cui efficacia scintilla ancora di più perchè è basata su soldi veri, su una proprietà certa, su un organigramma e una divisione di mansioni ben definita. Aspetti che dovrebbero risultare normali in qualsiasi azienda, non solo in una che produce pedate. Ma è una normalità sconosciuta a Inter e Milan, che da piani apparentemente opposti vivono l’ennesima rincorsa a un futuro complesso. Sulla sponda nerazzurra brindano, ebbri di un investimento assente da tempo immemore, per lo schiaffo vibrato ai rivali di sempre, il Milan. Kondogbia potrà anche essere il prossimo fenomeno delle mediane mondiali, ma per ora è solo un investimento quasi colossale, 35 milioni di cartellino, 5 anni di contratto a 4 milioni a stagione. Una pioggia di soldi che diventa nubifragio con i 15 milioni spesi per il centrale della Nazionale brasiliana, Miranda, e gli assegni già sventolanti per arrivare a Felipe Melo e a Salah, l’egiziano tornato al Chelsea dopo cinque mesi abbaglianti alla Fiorentina. La Beneamata, colta da improvviso benessere, è passata in un attimo dai fulmini (evitati) dei contabili dell’Uefa all’apertura della diga Thohir: contributi fluviali, che incuriosiscono, inaspettati dagli stessi interisti, che si preparavano a fare i conti con un’estate autofinanziata dalle cessioni (Kovacic o Guarin e altri, tuttavia, partiranno comunque). Un quadro, quello nerazzurro, appeso a rovescio a Casa Milan, dove i sogni di ritrovata grandeur tra le bancarelle dei tacchetti sono durati come l’effimera felicità di Francis Macomber, sfortunato personaggio dei Racconti di Hemingway. La cessione delle quote al mediatore thailandese Bee Taechaubol, i soldi freschi che dovevano essere un oceano, altro che il fiume interista. L’appoggio, forti di decine di milioni da investire, di Doyen Sports, famoso e famigerato fondo di investimento con comprovati interessi su giocatori e società. Un puzzle che doveva riformare un’immagine ricca, vincente e che invece, al momento, è finito per le terre, con tutti i pezzi sparsi e qualcuno forse irrimediabilmente finito sotto al tavolo.Troppi i galli nel pollaio della sede e del mercato rossonero, e ora riemerge qualche lecito dubbio sulle reali condizioni finanziarie di un’operazione sempre rimasta in un alone di mistero, in barba ai comunicati ufficiali delle parti. Il Milan sta nell’emisfero opposto a quello abitato dalla Juventus. È reduce da una lunga e grave crisi tecnica, ha davanti enorme terreno da recuperare, deve soprattutto riassumere immediatamente una fisionomia degna della sua importanza. I sogni di Galliani su Ibrahimovic ora si sono spostati su Cavani, ma gli incubi su Jackson Martinez e Kondogbia, obiettivi falliti che sembravano pilotati dai nuovi partner, hanno già stoppato la corsa, congelato i piani. Ammesso che ci siano. Ma nei due mesi e rotti dell’insostenibile leggerezza del mercato, non tutti si accorgono della fragilità o dell’esistenza dei progetti. Le parole che bastano fino al crepuscolo dell’estate sono sogno, idea, caccia, contatto, assalto. Poi, alla fine, arriverà la parola conto. Da onorare in serenità, oppure mostrando le tasche vuote al mondo. Sul campo, come sempre. Almeno questo.