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INTERVISTA. Doyle: «Mente e libertà? Nascoste nei quanti»

Andrea Lavazza martedì 4 giugno 2013
Placido pomeriggio sul divano. Alzarsi per andare al frigorifero e prendere una bibita o restare comodamente seduti? Non una grande decisione, eppure ci si può riflettere qualche secondo, poi scegliere e infine alzarsi. Niente di strano, nulla da spiegare per la maggior parte di noi. Non useremmo i termini tecnici di “libero arbitrio” e “causazione mentale”, ma ciò cui ci riferiamo è proprio l’idea che davanti a noi abbiamo corsi di azione alternativi tra cui optare senza costrizioni (restare seduti o alzarsi) e che la nostra “mente” comanda il corpo in modo diretto. Ma le cose non sono affatto così semplici. Semplificando molto, se ogni cosa ha una causa fisica (come la scienza sembra dirci) che segue le leggi immutabili della natura, non siamo liberi, ma determinati, e non ci sono cause mentali, ma solo il cervello che agisce. «È lo scandalo della filosofia», dice Robert Doyle, astronomo e creatore di tecnologia, docente alla Harvard University, convertito con zelo militante e inesausto alla causa del libero arbitrio. Così ha intitolato anche un suo recente, denso volume (disponibile liberamente su Internet nel ricchissimo sito www.informationphilosopher.com). Come mettere fine allo scandalo costituito dal negare la libertà degli esseri umani e la realtà della mente, dovuto all’affermarsi del riduzionismo materialistico? Doyle, 76 anni, in questi giorni a Milano, ha un’idea precisa, legata alla meccanica quantistica. «La domanda centrale del classico problema mente-corpo è come una mente immateriale possa muovere un corpo materiale se le catene causali sono limitate all’interazione tra oggetti fisici», spiega. «In sintesi, il mio modello prevede una mente immateriale come pura informazione all’interno del sistema fisico che elabora quell’informazione, ovvero il cervello. In questo modo, si arriva a un fisicalismo non riduttivo e un dualismo emergentistico». Il punto sta nella maniera in cui è concepita l’informazione (che, tra l’altro, è proprio quella cosa che sta nei messaggi che ci scambiamo e nei libri che leggiamo). «L’informazione – dice Doyle – è fisica ma immateriale. Non è né materia né energia, anche se ha bisogno di entrambe per la sua manifestazione. L’indeterminismo della fisica quantistica “rompe” la catene causali usate per ridurre i fenomeni biologici alla fisica e alla chimica e gli eventi mentali agli eventi neuronali. Ma ciò non vuole dire che le nostre scelte siano casuali». Il quadro qui si complica. Una delle difficoltà del libero arbitrio discende dal fatto che è incompatibile con il determinismo (tutto è già scritto), ma anche con l’indeterminismo (se non ci sono leggi costanti, le nostre azioni e i loro risultati saranno casuali, e libertà non è tirare ogni volta la monetina). La meccanica quantistica dice in sintesi che il comportamento delle particelle subatomiche si descrive secondo probabilità e non certezze, anche se poi le previsioni permesse dalla teoria sono accuratissime. Doyle (con altri studiosi) propone allora di spiegare come l’intuizione della nostra libertà sia supportata da un modello “a due stadi”. «Il modello Cogito – riassume il fisico-filosofo – implica che molti eventi casuali a livello quantistico creino genuine possibilità alternative nel cervello. La mente informazionale, registratore e riproduttore di esperienze, grazie alla volontà può dare il suo assenso a una di esse, con una scelta adeguatamente determinata (cioè non casuale), facendo in modo che la possibilità di un futuro aperto si trasformi in un passato chiuso e inalterabile». Ciò ha a che fare con il collasso della funzione d’onda, uno dei concetti chiave della fisica quantistica. Una soluzione al mistero della libertà (e della causazione mentale) che non convince tutti gli studiosi, ma ha il pregio di fornire una spiegazione scientifica a un’intuizione fortissima del senso comune e di resistere al materialismo riduzionistico. Doyle trova spazio anche per una lettura morale: «Esiste un Bene oggettivo? Secondo me sì: ha la forma della conservazione delle strutture di informazione (quelle che danno vita all’uomo) contro l’entropia, che è l’incarnazione del diavolo».