Agorà

INTERVISTA. Mehta: resto in Italia nonostante i tagli

Pierachille Dolfini sabato 28 marzo 2009
«Nonostante i tagli e la crisi io rimango in I­talia perché credo con tutto il cuore che ci sia un futu­ro, e un futuro migliore, per le arti, per la musica e per i teatri». Stasera Zubin Mehta, con l’orchestra del Maggio musicale fiorentino, sarà nel Duomo di Orvieto per il concerto i­naugurale del festival Assisi nel mondo: sul leggio pagine sinfoni­che dal Crepuscolo degli dei di Wa­gner (opera che tra un mese inau­gurerà la 72esima edizione del Mag­gio il cui cartellone è stato parecchio ridimensionato dopo i tagli al Fus) e la Seconda sinfonia di Brahms. Ma il pensiero del direttore indiano va alla situazione della cultura – e del­la musica in particolare – in Italia. «Come straniero, amico e innamo­rato del vostro paese – racconta – trovo un peccato incomprensibile che non si dedichi sufficiente atten­zione all’inestimabile eredità che ci è stata tramandata e non capisco perché il governo e le città non in- vestano di più per mantenere ciò che abbiamo ricevuto in dote da sommi artisti del passato come Giot­to e Michelangelo, ma anche Verdi e Puccini».Scusi, maestro Mehta, perché, no­nostante tutto questo lei vuole con­tinuare a vivere in Italia? Perché sono certo che chi ha la re­sponsabilità per far vivere le istitu­zioni culturali, quelle che contri­buiscono alla crescita e alla qualità della vita delle persone e della so­cietà, saprà trovare il modo di supe­rare questa crisi. Lavoro e vivo qui per una gran parte dell’anno perché amo questo paese: è vero, avrei po­tuto e potrei avere più impegni nel resto del mondo, ma ho scelto l’Ita­lia perché la sua bellezza mi affasci­na, e per un artista è importante es­sere circondato dai capolavori del­l’umanità e della natura. Come il Duomo di Orvieto dove suonerà stasera. Sarò un direttore d’orchestra, ma anche un turista: prima del concer­to visiterò il Duomo e la Sacrestia. L’Umbria è una regione bellissima, ricca di luoghi dove si respira una profonda spiritualità. Come mai nel programma com­paiono Wagner e Brahms e non u­na pagina sacra?Principalmente per motivi pratici: con l’orchestra stiamo provando Il crepuscolo degli dei per l’inaugura­zione del Maggio. Ma penso che al­cune pagine strumentali di questo straordinario capolavoro possano trovare un’ambientazione molto a­datta in Duomo per il messaggio profondo che recano. E trovo sia un bene che nei luoghi di culto si pos­sa eseguire non solo il repertorio sa­cro, ma anche quelle musiche, come la pagina di Brahms, che pur laiche hanno un alto valore per l’anima. Assisi, cuore del festival, è la città di san Francesco che seppe far dialo­gare uomini di fede diverse. La mu­sica che messaggio può lanciare? Io, parsi, sono stato abituato fin da bambino a convivere senza proble­mi con tutte le altre fedi. Ho fre­quentato a Bombay la scuola dei Ge­suiti e nella mia classe c’erano ra­gazzi di sette religioni differenti. Nel mondo ci deve essere posto – e una patria – per tutti: l’unica via per la pace è il dialogo, la conoscenza e la tolleranza perché i nemici della fra­tellanza nella diversità sono gli e­stremismi di ogni colore, credo e na­zionalità. Ce lo insegna anche la mu­sica ». Il maestro Zubin Mehta