Agorà

RISCOPERTE. McNabb, un profeta contro la crisi

Alessandro Zaccuri martedì 29 ottobre 2013
Più Nazareth, meno Greenwich. Più tempo condiviso, a contatto della terra e a beneficio della famiglia, e meno tempo parcellizzato, da consumare nel chiuso di un’urbanizzazione forzata e a tutto vantaggio di un’industria impersonale e, in definitiva, disumana. Vedeva lungo, padre Vincent McNabb (1868-1943), il domenicano di origine irlandese che ebbe un ruolo di primo piano nel dibattito culturale londinese di inizio Novecento. Nonostante il legame strettissimo con Gilbert Keith Chesterton, di cui fu confessore e guida spirituale, McNabb è una figura ancora poco conosciuta in Italia, dove è stata a lungo stranamente ignorata anche dal punto di vista editoriale. Ma negli ultimi anni, complice una crisi globale molto simile a quella prefigurata da padre Vincent, i segnali di attenzione nei suoi confronti si stanno moltiplicando. Nel 2010 Paolo Gulisano gli ha dedicato un utile profilo biografico (Babylondon, Edizioni Studio Domenicano) ed è di questi giorni la pubblicazione, presso la ritrovata Libreria Editrice Fiorentina, di La Chiesa e la Terra (a cura di Laura Melosi e Giannozzo Pucci, pagine 272, euro 18: il libro sarà presentato venerdì 1° novembre, alle ore 16.15, nell’ambito del Salone dell’Editoria Sociale di Roma).Questa raccolta di saggi, apparsa originariamente nel 1925, può essere considerata come il manifesto del pensiero di McNabb, a sua volta inserito in quel più vasto movimento economico e culturale che va sotto il nome di distribuzionismo. Per capire di che cosa stiamo parlando basta rivolgersi allo stesso Chesterton, che con il suo fulminante talento per il paradosso sosteneva che «troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti». L’obiettivo del distribuzionismo (o distributismo, come può anche essere tradotto l’originale distributism) è proprio questo: garantire a ciascuna famiglia il diritto alla proprietà della casa, della terra e dei mezzi di produzione. Il riferimento alla famiglia non è casuale, perché secondo McNabb è il vero soggetto dell’economia è il nucleo familiare nel suo insieme, e non il singolo individuo che, nel suo isolamento, diventa facile preda del ricatto salariale.Da qui l’accorata perorazione per i diritti dei genitori, intesi come autentica salvaguardia di quel «fagotto di diritti» che è ogni neonato («Per la millesima volta – annota McNabb con straordinaria preveggenza – dobbiamo mettere in guardi ai cattolici contro le benevole leggi che vogliono garantire i diritti del bambino solo per portarne a termine la distruzione»). Da qui, inoltre, l’insistenza sulla necessità di un ritorno alla terra come rivolta contro un dilagante processo di massificazione che non riguarda in modo esclusivo l’agricoltura, ma coinvolge ogni settore dell’attività umana, come dimostrano le bellissime pagine dedicate alla scomparsa delle «botteghe» (le cui insegne sono identificate dal nome e cognome dell’artigiano) a favore dei «negozi», che dalle loro vetrine si limitano a garantire la corretta esecuzione di un servizio.Temi molto cari agli odierni movimenti di economia alternativa – non a caso elencati dall’editore italiano nella presentazione al volume – ma che McNabb affronta da una prospettiva fieramente tradizionale. Molto san Tommaso d’Aquino, anzitutto, e molti rimandi alla Rerum Novarum, per quanto il sostrato più profondo rimanga di impronta biblica. Per commentare la parabola del Padre misericordioso, per esempio, padre Vincent si basa sull’ipotesi che il fratello maggiore fosse un tipo incapace di cogliere la magnifica vivacità sociale del ballo, simile in questo ai borghesi degli anni Venti, che anziché mettersi a danzare preferiscono pagare per assistere a uno spettacolo di danza. Un ragionamento che non faceva una piega alla vigilia del crollo di Wall Street e che diventa ancor più convincente oggi, nel momento in cui il ballo si è ridotto a uno dei tanti generi di intrattenimento televisivo. Del resto, è McNabb stesso ad avvertire che «l’ora di Greenwich misura il giorno», mentre «l’ora di Nazareth misura anche l’eternità».