Agorà

Teatro. Matteo Ricci, la Cina celebra l’arte del dialogo

Angela Calvini venerdì 17 luglio 2015
​«Francesco è il primo gesuita a essere diventato Papa? That’s good!». Sfodera un bel sorriso William Su, autore e regista di Matteo Ricci e Xu Guangqi che verrà presentato con la Shanghai Theatre Academy in anteprima mondiale domani sera al Piccolo Teatro (sala Melato) che lo coproduce in collaborazione con l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano. A Milano vedremo una prima versione dell’opera (sottotitolata in italiano) che debutterà nella forma completa a Shanghai. Ma la speranza del regista cinese è quella di poter debuttare anche in Vaticano, e questo la dice lunga sul processo di disgelo in atto. «Speriamo che presto si ristabiliscano i rapporti diplomatici tra la Santa Sede e la Cina – dice convinto –. Il Papa è pronto a venire da noi, Pechino pure ad accoglierlo. Sarebbe un onore poter portare lo spettacolo completo in Vaticano».
 
 
Padre Matteo Ricci, gesuita, matematico, cartografo e missionario in Cina dal 1582 sino alla morte avvenuta nel 1610, il cui nome mandarino era Li Madou, fu talmente stimato da essere insignito, da parte dei cinesi, del titolo di Studioso confuciano del Grande Occidente ed è tuttoggi un mito. Lo spettacolo vuole sottolineare il messaggio di apertura e scambio fra due culture attraverso l’amicizia fra il gesuita marchigiano e il mandarino imperiale Xu Guangqi, convertito al cristianesimo senza rinnegare però Confucio, insieme al quale tradusse testi fondamentali di entrambi i Paesi.
 
 
Mescolando le movenze del teatro tradizionale cinese e la commedia dell’arte (con l’aiuto degli esperti del Piccolo) ne vien fuori uno spettacolo colorato e affascinante della durata di un’ora con 12 personaggi in maschera. La trama ha un taglio popolare, e parte, romanzandolo, da un fatto reale descritto da Matteo Ricci nei suoi diari. «Ci siamo ispirati ad una pagina in cui lui racconta di essere stato aggredito e derubato da un ladro a Pechino, ma di essere riuscito a convincerlo a non fargli del male – racconta il regista Su –. La nostra storia parte da lì». La trama della commedia immagina che i ladri siano tre e che uno di loro venga arrestato e condannato a morte, ma Matteo Ricci intercederà per chiedere la grazia e salvargli la vita. «Questo appello contro la pena di morte è una contraddizione per la cultura cinese che sorprenderà i miei connazionali» spiega l’autore che ha avuto il coraggio di lanciare questo messaggio in un Paese che è al primo posto al mondo per esecuzioni capitali.
 
 
«Centrale poi è il rapporto col suo amico Xu Guangqi. Raccontiamo l’amicizia tra un occidentale eccezionale e un cinese eccezionale. Non tutti sono come loro, mostreremo anche funzionari corrotti e giudici inflessibili. Invece loro hanno avuto successo perché la loro intermediazione culturale era basata su una vera amicizia». Nella pièce le preghiere di Ricci al governatore dapprima non avranno effetto ma l’arrivo di Xu Guangqi, intervenuto per stima del gesuita, riesce a ottenere la grazia. Da lì i due diventeranno amici, mentre uno dei tre ladri, pentito, diventerà discepolo del gesuita.
 
 
Con un altro “coup de theatre”, il ladro risparmiato dal governatore tornerà ad uccidere, e questa volta la giustizia sarà sul punto di intervenire, finché l’intervento della madre e quello di Ricci risulteranno determinanti. «È la vittoria di Matteo Ricci contro la pena di morte e a favore del dialogo – spiega William Su –. La pièce si conclude con Matteo Ricci che esclama “Dio è grande”». Non c’è però una particolare sottolineatura dell’aspetto religioso nell’opera, anche se la lezione di umanità che ne deriva non può essere disgiunta dalla fede del gesuita. «Il testo si può leggere in due modi – spiega il regista –, o in senso religioso con la vittoria di Dio o come quella della filosofia confuciana che predicava la compassione». Insomma, uno spettacolo che gioca su un delicato equilibrio e che, grazie a ciò, non ha avuto problemi con la severa censura cinese. «Matteo Ricci è l’occidentale che ha avuto maggiore influenza in Cina perché si è saputo adattare ai nostri costumi, per mediare fra due culture, al tempo stesso traducendo le opere della scienza occidentale in Cina e i testi fondamentali cinesi in latino o italiano per l’Europa – assicura il regista –. L’occidentale più influente non è Carlo Marx, che da noi non ha mai messo piede, o Marco Polo che però resta confinato nella leggenda. È Matteo Ricci che ha lasciato un’eredità concreta».
 
Milano, Piccolo Teatro Melato
Matteo Ricci e Xu Guangqi 18 e 19 luglio