Agorà

Inedito. Lo storico Marrou: il Male? Caduta, non principio

Henri-Irénée Marrou martedì 18 ottobre 2016
Moltissimi cristiani del nostro tempo rifiutano di solito di credere al diavolo perché ne hanno un concetto falso, del tutto contrario alla vera essenza della fede; tanto da sembrare non solo naturale, ma in certo senso anche legittimo che la loro coscienza religiosa reagisca con forza e, per così dire, s’inalberi davanti a questo errore.Analizzando il fatto non è difficile constatare che i cristiani di oggi si fanno del demonio un’idea assai più “manichea” che cristiana. Diciamo manichea, per usare la terminologia tradizionale degli eresiologi, ma con termine più storicamente esatto dovremmo dire “gnostica”, o “dualistica”. Quel satana, al quale i nostri contemporanei non si rassegnano, o soltanto con difficoltà, a credere, e una specie d’Ahrimane, un’entità che impersona il Principio del Male, concepito come tremendamente reale e in perfetta antitesi con il Principio del Bene, che si attua in Dio; una entità così potente, per di più, da non essere soltanto un antagonista, ma addirittura un rivale di Dio, un Anti-theos.Sintomo caratteristico di tale stato d’animo è che non si parli mai, o quasi mai, di “demoni” al plurale, ma solo del demonio. Senza dubbio una concezione così nettamente “monarchica” della Potenza delle Tenebre è suggerita in parte dalla tradizione della Chiesa; già nel Nuovo Testamento, infatti, satana, il Principe di questo mondo, il Principe delle Potenze dell’aria, colui che ha l’impero della morte, il diavolo si trova sinteticamente opposto a Cristo; e san Paolo (2Cor 4, 4) arriva persino ad azzardare l’espressione di «dio di questo secolo». Lo stesso modo di presentare il demonio fu poi usato nell’enfasi oratoria dai Padri della Chiesa, specie quelli latini dell’Africa. Già Tertulliano contrappone, in simmetrico contrappunto, Dio tutto buono, optimus, e il diavolo tutto cattivo, pessimus ( De patientia, 5). Più spesso ancora sant’Agostino – nelle cui opere, come da molti fu notato, l’antitesi non è un mero artificio retorico, una regola ereditata da Gorgia, ma quasi una creatura fondamentale del pensiero – istituisce un parallelo fra Cristo e il demonio; e talvolta anche in modo poco conveniente alla sua carica e alla stessa sua persona. Senonché i moderni quei testi non li comprendono più come dovrebbero; e nemmeno un’eco, talvolta assai indiretta dei loro insegnamenti. Non si comprende più, cioè, che l’avere riunito attorno al Capo e, per così dire, riassunte in lui tutte le forze infernali è soltanto un espediente comodo, o drammatico, di presentare le cose, uno scorcio pittorico, destinato a colpire la fantasia, perché meglio risalti il contrasto tra quelle forze e il nostro unico Salvatore; e che con ciò non si nega affatto l’esistenza di altre Potenze, di altri Spiriti cattivi. Così compresi, o ricordati, questi testi “monarchici”, indirizzano pericolosamente la riflessione (se merita questo nome quell’embrione di pensiero teologico, di cui oggi gli uomini si accontentano) verso un dualismo puro e semplice: Dio da una parte, dall’altra satana. La realtà di quest’ultimo appare quindi inscindibile dalla realtà – positiva, ontologica e sostanziale – del Male, del quale egli è il veicolo e, per così dire, il simbolo.Ora, per quanto una teologia esatta possa assegnare a Lucifero una funzione preponderante fra i demoni, è certo che il pensiero moderno – dico il pensiero reale, quello che, anche se implicito, anima la vita spirituale – ignora profondamente la vera dottrina ortodossa sul diavolo, la sola che ogni anima cristiana possa accogliere, poiché è la sola che salvi il principio dell’onnipotenza e dell’unicità di Dio, il monoteismo, in una parola, inestimabile gioiello della nostra fede. Tale dottrina insegna che Lucifero, o satana, è un angelo al pari degli altri demoni, poiché egli non è che uno fra i tanti, sia pure il primo. Angelo  ribelle, ma angelo, creato da Dio con gli altri e fra gli altri spiriti celesti; angelo prevaricatore e decaduto, che tuttavia né la caduta, né la decadenza che ne derivò poterono spogliare della natura angelica, che caratterizza la sua essenza. Dopo i primi confronti dottrinali con lo gnosticismo la Chiesa non cessò mai di proclamare nel modo più energico che l’origine e l’essenza stessa dei demoni non sono dovute a un Principio del Male, estraneo a Dio; che satana, e gli altri demoni con esso, sono allo stesso titolo degli angeli creature di Dio, unico Creatore, infinitamente buono e onnipotente: «È cosa nota – dice sant’Antonio, secondo sant’Atanasio – che i demoni non furono creati demoni, poiché Dio nulla fece di cattivo. Essi pure furori creati buoni» al pari degli altri angeli, e fu per loro colpa, per il cattivo uso che fecero della libertà, che «decaddero dalla celeste sapienza » e divennero cattivi. Tertulliano lo conferma, con la sua solita enfasi tutta africana: a rigore di termini, è da negare che Dio abbia creato il diavolo; Egli creò un angelo, che si allontanò da lui e si fece diavolo da se stesso, con un atto di libera volontà. Ne consegue – ed è importantissimo – che i demoni, creati buoni, non sono divenuti totalmente cattivi. Sono, cioè, “decaduti”, il che non significa che la loro essenza sia mutata dopo la caduta e dipenda ormai da un Principio diverso da quello donde derivano tutte le creature. Ontologicamente i demoni restano angeli, e questo concetto si manifesta specialmente nella caratteristica espressione di “angeli cattivi” e lo troviamo enunciato in forma esplicita da parecchi Padri della Chiesa. La dottrina della non-sostanzialità del Male viene attribuita a sant’Agostino; essa però è l’essenza del pensiero cristiano, tant’è vero che anche l’antica Chiesa greca la conobbe e la troviamo formulata rapidamente, ma con chiarezza, da autori del tutto indipendenti dal pensiero di sant’Agostino, quali san Basilio e san Gregorio di Nissa.Dire che il Male non è una sostanza, una realtà, dire che il Male è “un nulla”, non equivale a negarne l’esistenza. Si tende talvolta a considerare questa teoria come una comoda scappatoia, come un chiudere gli occhi su ciò di cui si dovrebbe render conto. No, ripeto: dire che il male non è in sé e per sé qualche cosa di positivo non è lo stesso che affermare che il Male non esiste. Il Male non appartiene all’ordine dell’essere, ma a quello del non-essere, il quale non è tutt’uno con il Nulla. La distinzione, sottile ma convincente, è nel Sofista  di Platone. Non si deve semplicisticamente concepire da un lato l’esistenza e dall’altro il nulla. Vi sono dei gradi nell’essere e una gerarchia degli esseri. Soltanto Dio è nel significato vero e completo della parola: vere est, summe est. Per tutti gli altri esseri è necessario persuaderci che, a rigore, né sono, né non sono ( nec omnino esse, nec omnino non esse). Tutti gli esseri creati sono, in quanto partecipano all’Essere di Dio, e sono più, o meno, nella misura in cui si avvicinano a Dio.