Agorà

CALCIO INTERVISTA. Marchetti, un gran futuro color azzurro

venerdì 6 febbraio 2009
Provate a mettervi nella maglia di un portiere che debutta in serie A e al­la prima gara al Sant’Elia, in quel­la porta dove Ricky Albertosi vinse l’uni­co scudetto del Cagliari (1970), incassa la bellezza di 4 gol dalla Lazio. Toglietevi i guanti e rimetteteli 7 giorni dopo per an­dare a raccogliere in fondo alla rete altri due gol a Siena. Ritorno al Sant’Elia con la Juve che affonda con Amauri, segue un altro golletto subìto a Bergamo e infine per chiudere in bruttezza la cinquina ma-­ledetta, un 2-0 a Lecce. Un portiere “normale” si sarebbe dimes­so dall’incarico insieme al suo allenato­re. Invece tre giorni dopo (mercoledì 5 ottobre) cominciava il campionato da re­cord del Cagliari del “conte Max” Allegri, ma soprattutto l’ascesa del miglior por­tiere della serie A, il 26enne (li compie domani) Federico Marchetti. Un n° 1 scuola Torino che dopo 6 stagioni di gavetta (Pro Vercel­li, Treviso, Biellese e AlbinoLeffe) alla fi­ne è arrivato, nono­stante l’avvio a handicap dei cin­que tonfi di fila. «È stato brutto, specie con la Lazio al debutto. Sull’1-0 per noi, senza nemmeno dover sporcare i guan­ti in mezz’ora ho preso 4 gol. Poi i quat­tro ko successivi mi hanno fatto capire una volta di più quanto è strano il calcio: il Cagliari giocava bene, si muoveva con le stesse sincronie di adesso, eppure era­no sempre degli episodi a condannarci. All’appuntamento con il Milan sia io che il mister Allegri siamo arrivati con la con­sapevolezza che quella poteva essere la goccia che avrebbe fatto traboccare il va­so... Come consuetudine, dopo l’allena­tore a ruota avrebbero fatto fuori il gio­vane portiere esordiente...». E invece, con Cellino premonitore, pro­prio contro Kakà comincia la risalita del Cagliari e l’ascesa di Marchetti che non ha mai perso la speranza e come il brasi­liano del Milan ha una fede incrollabile che gli si legge perfino sulla pelle. «Ho un tatuaggio in cui con il carattere Avesta ho fatto incidere “Ave Maria”. Non è un vez­zo, ma il ringraziamento di un miracola­to. Quando ero a Vercelli una sera alla gui­da della mia auto ho fatto un incidente tremendo. Proprio mentre stava per ca­pitare il peggio ho visto una “luce”... So­no uscito illeso e soprattutto non è acca­duto niente ai miei amici. Se gli fosse ca­pitato qualcosa di tragico non me lo sa­rei perdonato e forse non avrei avuto più la forza per andare avanti». La corsa di uno dei migliori talenti del nostro calcio si sarebbe potuta fermare lì sul ciglio di una strada, tra i rottami di un’auto. Ma gli incidenti di percorso non erano finiti. La crisi e il precaria­to di cui si parla tanto nell’apoca­littico 2009, l’ave­va sperimentata 4 anni fa: dopo il fallimento del Toro di Cimmi­nelli si era ritro­vato a piedi. «Ero disoccupa­to e per non restare fermo andai ad alle­narmi al Casale. Eppure avevo debutta­to in B a 21 anni... Però al Torino prima avevano fatto fuori Sorrentino e dopo il sottoscritto perché “troppo giovane”, sal­vo poi andare a prendere Berti che ave­va 36 anni... In Italia i portieri giovani fan­no fatica a lanciarsi per colpa della trop­pa pressione dei media che gli allenato­ri avvertono, visto che o non li fanno gio­care oppure al primo errore vengono ta­gliati con l’alibi dell’inesperienza. Ma l’e­sperienza uno se la fa soltanto se lo man­di in campo. A volte sono proprio le oc­casioni che scarseggiano. Ho visto tanta gente brava che non ha avuto la chance giusta e che si è persa. Nella Primavera del Toro con me c’erano Quagliarella, Man­tovani e Calaiò, ragazzi che ce l’hanno fatta, ma posso assicurare che ce n’era­no altrettanti talentuosi che sono finiti in C, ai quali è mancata solo la possibilità di dimostrare il loro valore». Quella possibilità a Marchetti la conces­se Sandro Turotti (ora ds della Cremone­se) che lo spedì alla Biellese con la pro­messa che se avesse fatto bene poi l’a­vrebbe portato all’AlbinoLeffe. E così è stato. «Penso che senza i bocconi amari che ho ingoiato e qualche porta sbattu­ta in faccia, oggi non avrei la personalità che mi sono costruito in campo e fuori. Sacrificio e senso di responsabilità, uni­ti al talento e a quel pizzico di fortuna che non guasta mai, alla lunga ti permettono di centrare gli obiettivi». Il prossimo o­biettivo è continuare a difendere la por­ta del Cagliari per portarlo ancora più in alto. «Siamo un gruppo che appena ha smesso di giocare con il freno a mano ti­rato ha mostrato quella forza che è il ri­sultato di una miscela perfetta di giova­ni di prospettiva e veterani come Lopez e Conti che sono sempre lì pronti ad in­coraggiare e a trascinare la squadra. Non sarà facile fermarci...». L’ascesa dei sardi procederà di pari pas­so con quella di Marchetti che, parola di Gigi Buffon può diventare il futuro n° 1 az­zurro. «Il fatto che l’abbia detto il più grande di tutti mi inorgoglisce. Chi dice che io sia il suo “erede” esagera. Buffon al­la mia età era già titolare in A da otto an­ni e arrivò in Nazionale a 19. Io sono fe­lice di essere ciò che sono, uno che pas­so dopo passo è riuscito a fare della sua passione un mestiere. È questo che rac­conto ai ragazzi quando vado nelle scuo­le: il calcio prima di tutto è un gioco e dobbiamo difendere con l’etica il nostro diritto al divertimento».