Agorà

REPORTAGE. Marca di Macerata, i prodigi di un fiume

Fulvio Fulvi venerdì 4 gennaio 2013
​Un fiume prodigioso e colmo di storia che alimentò le gesta di santi e la fede di un popolo. Si dice che in un tempo, ormai lontano, le sue limpidissime acque, ricche di sali minerali, giovassero a mondare il corpo da lebbra e scabbia. Come provarono i crociati di ritorno dalla Terra Santa e diretti a casa, verso l’Umbria o Roma. Sulla strada che costeggia l’asse fluviale passò più volte anche san Francesco per raggiungere dalla Porziuncola il porto di Ancona e quindi imbarcarsi per l’Oriente.Il Potenza, nel ventre della "marca maceratese", nasce dal Monte Vermenone, sull’Appennino umbro-marchigiano, e sfocia nell’Adriatico, ai piedi di Loreto, tagliando per 95 chilometri la più lunga vallata del Piceno. È Fiuminata il primo borgo allietato dal gorgoglìo delle sue acque e dei torrenti che vi confluiscono. Da questo luogo – che d’estate s’affolla di villeggianti romani – si raggiunge dopo circa 5 chilometri, seguendo un diverticolo dell’antica via Flaminia (oggi statale 361 Settempedana), Pioraco, detta "La piccola Svizzera" per via dell’arredo naturale di rocce, gole e verdissimi prati montani che l’abbellisce. È anche conosciuto come "il paese dei nomi strani", perché – sarà forse a causa dell’aria sbarazzina che vi si respira – c’è chi si chiama Aeroplano, chi Delpiano e Delmonte (due fratelli), ma anche Finomola (l’ultima figlia di una famiglia numerosa...), e poi Dondra, Ginnasio, Liseno, Marziano, Orifiamma (ma l’elenco all’Anagrafe è lungo). Sullo stemma del Municipio, a testimoniare la pescosità del Potenza – almeno nel 1870, quando si istituì il blasone – un gambero di fiume. Nelle grotte spigolose che sovrastano il grazioso abitato di Pioraco si chiuse in eremitaggio alla fine del V secolo Vittorino, membro di una nobile famiglia proveniente dalla vicina Septempeda e fratello minore di Severino: entrambi i giovani abbandonarono la casa paterna per predicare il Vangelo. E diventarono santi. Il maggiore di loro si era ritirato in meditazione in una piana vicino alla città d’origine, dove si trovavano i ruderi del tempio pagano della dea Feronia, luogo simbolico per i cristiani perché tomba dei martiri Ippolito e Giustino. Severino divenne più tardi vescovo di Septempeda, insediamento di origini romane. Sulle rive del fiume il pastore annunciò Cristo proteggendo il paese dai nemici che l’assediavano. Ma quando il santo morì arrivarono Totila e i Goti. Per evitare il massacro i cittadini decisero di fuggire sulle alture vicine portandosi dietro le spoglie di Severino vescovo. Durante il viaggio però si trovarono di fronte al fiume in piena con l’unico ponte distrutto dai barbari. Fu allora che le acque del Potenza si divisero e il corteo poté così attraversare il letto del fiume all’asciutto, come fosse una strada: e i "settempedani" gridarono al miracolo. La nuova città, chiamata San Severino, venne costruita al sicuro, in cima al Monte Nero, dove sorsero un castello e una chiesa (il Duomo Vecchio) nella quale è ancora oggi custodito il corpo del santo, rivestito in un sarcofago d’argento: era il 944.Medioevo e Rinascimento furono le età d’oro per il borgo: commerci e cultura si svilupparono. Qui nacquero, nel ’400, i fratelli Jacopo e Lorenzo Salimbeni, pittori insigni, esponenti dello stile gotico internazionale (affreschi e dipinti sono ancora testimoni della loro presenza nelle Marche). La città conserva intatto l’antico borgo con una piazza dalla forma ellittica cinta da loggiati, una delle più belle d’Italia.A San Severino si fermò san Francesco durante il suo primo viaggio verso Ancona, nel 1212 per incontrare sul monte Colpersito fra’ Pacifico Divini, un trovatore convertito che il poverello di Assisi nominò padre provinciale in Francia (oggi Pacifico è compatrono della città marchigiana). E fu sulla stessa collina che il figlio di Pietro di Bernardone fondò un convento destinato a ospitare i frati che andavano e venivano dalla Terra Santa (dal 1576 è insediamento dei Cappuccini). Nove anni dopo Francesco tornò in quei luoghi e vide in un campo una pecorella che brucava l’erba. Era timida e candida, distaccata dalle altre: «Sembra Gesù tra i farisei», gli uscì detto mentre la carezzava. Il pastore del gregge, vedendolo, gliela regalò. Il santo di Assisi, diretto a Gerusalemme, decise allora di consegnare l’animale alle clarisse di un vicino convento per custodirlo. Le monache lo tosarono e con la lana tessero una tonaca per il fraticello. Gliela mandarono mentre teneva un capitolo alla Porziuncola. «E ne gioì stringendola al petto e baciandola» racconta Tommaso da Celano.Passata San Severino Marche, sulla strada per il mare si incontrano i resti della romana Helvia Recina, a valle di Macerata. E poi, superato con lo sguardo il colle dove sorge Recanati, il «natìo borgo selvaggio» di Giacomo Leopardi, ecco, a poca distanza dalla foce del fiume, l’altura con la basilica della Santa Casa, il cuore di Loreto, memoria viva del «Sì» di Maria.