Agorà

Intervista. MACDONALD la natura (e i falchi) per vincere il dolore

Silvia Guzzetti venerdì 5 giugno 2015
Il diario di un lutto, una storia della falconeria, un inno alla natura e anche un raffinato studio dello scrittore T.H. White, autore del ciclo di storie su re Artù: H is for Hawk (dove hawk sta per falco) è tutto questo, e anche un viaggio personale dentro la mente e il cuore di Helen Macdonald, scrittrice, illustratrice, accademica a Cambridge, nella facoltà di Storia e filosofia della scienza, e grande appassionata di falchi fin dall’infanzia. Anzi, più che appassionata. Quasi ossessionata. Visto che, già da bambina, a cinque o sei anni, adorava questi animali ed impara piccolissima, ad appena undici anni, ad ammaestrarne uno. Aiutata, in questa sua passione, dal padre Alisdair Macdonald, famoso fotografo, dal quale impara l’arte di aspettare ferma, per ore, paziente e immobile, che la natura riveli se stessa. È proprio la sua morte improvvisa, per un attacco di cuore, a gettare Helen, sola, senza un compagno e senza figli, nella disperazione e a convincerla che soltanto dedicandosi all’ammaestramento di Mabel, un falco astore di poche settimane, avrebbe dato un nuovo senso alla sua vita. Il volume di memorie, che verrà pubblicato in Italia da Einaudi, e ha vinto, nel Regno Unito, i premi “Samuel Johnson” e “Costa”, è stato scelto come libro dell’anno dal Times Literary Supplement.  Oltre che in Italia, verrà tradotto e pubblicato in Francia, Germania, Olanda, Corea del Sud, Giappone, Norvegia, Polonia, Danimarca, Spagna, Stati Uniti e Canada.  È la storia di come ci si può immergere nella natura, per liberarsi dal proprio dolore, e di come la natura ci può aiutare solo fino a un certo punto. «In quel primo anno di lutto mi ero chiusa in casa con Mabel – racconta la scrittrice – e avevo detto agli amici di non contattarmi. La fatica di ammaestrare il falco, un’arte antica e molto intensa, mi aiutava ad allontanare la mente dai ricordi di mio papà e a distrarmi. Cercando di capire come Mabel pensava avevo finito per vedere il mondo attraverso i suoi occhi ed era una realtà sanguinosa, feroce e primitiva. Ero stata attratta da lei perché era tutte le cose che volevo essere in quel momento. Mabel viveva nel presente. Non sentiva emozioni umane. Assorbiva e esprimeva la rabbia che provavo. La portavo a caccia per quattro o cinque ore al giorno ed era un viaggio in un altro mondo. Sentivo la campagna inglese attorno a Cambridge affascinante e vera in un modo in cui non mi era mai capitato prima».  La Macdonald dà a questo viaggio dentro la natura, che diventa una strada per recuperare se stessa ed uscire dal dolore, un significato spirituale: «Vengo da una famiglia che non è religiosa eppure, mentre scrivevo il libro, mi sono ritrovata ad usare parole della tradizione biblica come “grazia” o “epifania” per esprimere come mi sentivo. È stato un viaggio molto intenso quello che ho fatto, lontano dalla vita di tutti i giorni, in contatto con qualcosa di profondo, che toccava il mio essere più vero. Ne sono uscita trasformata, con un modo diverso di vedere il mondo. Per secoli il volo di un falco è stato visto come un simbolo molto religioso ed ero parte di questo significato più profondo».  Col passare delle settimane, mentre l’ammaestramento del falco si avviava alla fine e il dolore per la perdita del padre diminuiva, la scrittrice si accorge di essere arrivata troppo lontano. «Alla funzione di commemorazione di mio padre, nella chiesa dei giornalisti inglesi, St. Bride a Fleet Street, mentre guardavo commossa i suoi amici, mi sono accorta che mi ero allontanata troppo dagli altri esseri umani. Ero scappata dalla civiltà e avevo cercato di diventare un falco», racconta. «A quel punto capii che ero molto depressa e decisi di farmi aiutare. Mi colpisce che questo momento di ritorno sia avvenuto in una chiesa. Per due mesi non feci altro che coltivare di nuovo i miei amici cercando di ritrovare me stessa e, alla fine, scoprii che potevo ridere ancora». Aggiunge Helen: «Mi preoccupa che, nella nostra società, trascorriamo sempre meno tempo nella natura. Mentre imparavo a conoscere Mabel, scoprivo che era complicata e divertente come un essere umano. L’altra esperienza che ho trovato istruttiva è stata vedere cacciare Mabel e vederla uccidere le sue prede perché mi ha messo in contatto col fatto che gli animali muoiono e siamo responsabili di questo. Non le ho mai consentito di mangiare un coniglio vivo, come avrebbe fatto guidata dal-l’istinto, ma sono sempre intervenuta per ucciderlo prima e impedire che soffrisse. Sento profondamente la responsabilità di salvare la natura perché ci insegna quale è il nostro posto nel mondo».