Agorà

Letteratura. Ma quanta Bibbia c'è dentro i nostri libri?

Pietro Gibellini mercoledì 13 marzo 2019

La “Cavalleria rusticana” di Mascagni, ispirata alla novella di Verga, nell’allestimento del Teatro di San Carlo del 2007

Prendeva il via dieci anni fa la monumentale opera in sei volumi della Morcelliana dedicata all’uso della Sacra Scrittura da parte degli autori italiani Dieci anni fa usciva il primo dei sei volumi dell’opera collettiva dedicata alla Bibbia nella letteratura italiana, edita dalla Morcelliana e diretta dal sottoscritto. Per celebrarne la conclusione e per riflettere su quel tema cruciale, nel complesso di San Cristo di Brescia si terrà, il 15 e 16 marzo, un convegno cui partecipano qualificati studiosi: Piero Boitani, Lina Bolzoni, Ennio Ferraglio, Paolo Lucca, Laura Novati, Giandomenico Romanelli, Franco Suitner, Giovanni Tesio. Sulle riprese della Bibbia nella nostra letteratura esistevano già vari volumi, limitati però a singoli momenti e a indagini selettive. L’opera morcelliana, con le sue 3000 e passa pagine, rappresenta invece il primo lavoro che fa emergere quale e quanta sia l’eredità biblica nella nostra letteratura. Nei primi quattro volumi segue il filo cronologico andando dal Medioevo all’età contemporanea, negli ultimi due studia la ripresa di personaggi, temi e forme dall’Antico e dal Nuovo Testamento.

All’opera si aggiunge ora il prezioso Dizionario biblico della letteratura italiana diretto da monsignor Marco Ballarini (IPL, pagine 1054), diverso però per mole e per struttura. Il progetto del nostro lavoro nacque all’inizio degli anni Novanta, quando, in una società pericolosamente schiacciata sull’hic et nunc, si andava acuendo il rischio della perdita di una secolare tradizione, e insieme della coscienza Prima, si era posto mano all’opera gemella dedicata al Mito nella letteratura italiana, uscita pure in sei volumi tra il 2003 e il 2009, alla quale avevano collaborato let- terati di generazioni e università diverse, italiane e straniere. Quel terreno era più dissodato, grazie allo stretto e consolidato dialogo tra classicisti e italianisti, ma mancava un’opera che desse uno guardo d’assieme alle interpretazioni e variazioni della mitologia greco-latina negli scrittori italiani. In un momento in cui sul nesso letteratura-religione perdurava la diffidenza laicista di matrice ottocentesca, riattivata in chiave marxista, è toccato alla Bibbia. Nella sua Storia letteraria, che resta un capolavoro, De Sanctis faceva cominciare la nostra poesia non dal Cantico di san Francesco, che è un salmo in volgare, ma dal Contrasto di Cielo d’Alcamo, versi in cui un disinvolto giullare seduce una donna facendo un finto giuramento sul Vangelo, che ha appena rubato in un monastero... Ma pesava anche la residua diffidenza dei cattolici verso la Sacra scrittura: in un vecchio film Alberto Sordi, invitato da ospiti inglesi a unirsi a loro nella lettura serale della Bibbia, rispondeva: «No, grazie, io sono cattolico».

L’Antico testamento, del quale gli ebrei possono ben dirsi il popolo, ha avuto nell’area protestante un ruolo culturale e religioso decisamente maggiore che da noi. Perché? Per i riformati, sacra scrittura e rivelazione coincidono, mentre per i cattolici la rivelazione si manifesta anche attraverso l’opera permanente dello Spirito santo e il magistero interpretativo della Chiesa: questa differenza si riflette nella diversa misura degli echi biblici nelle letterature europee. Anche in Italia, tuttavia, quello che Frye definì il "Grande codice della cultura occidentale", ha avuto un ruolo rilevante ancorché disconosciuto. Si è pensato a lungo che la Bibbia avesse influenzato solo la letteratura religiosa in senso stretto, ritenuta un sottogenere se non paraletteratura: vite di santi, testi edificanti e liturgici, trattati teologici… Ma non pochi di questi scritti raggiungono veri vertici espressivi: basterebbe citare la prosa o i versi latini di san Tommaso, oppure gli inni ecclesiastici, di cui diede magnifici volgarizzamenti Giuseppe Gioachino Belli.

E va sottolineato che l’impatto col testo sacro ha ossigenato il sangue di grandi autori profani. Nella nostra opera, dunque, non abbiamo voluto tracciare una storia della letteratura religiosa, ma, seguendo la pista dell’intertesto biblico, una storia religiosa della letteratura: la prima si applica a testi agiografici o devozionali importanti per la storia della pietà popolare più che della letteratura; la seconda indaga la componente religiosa nei grandi autori, non importa se credenti o no: Dante, Petrarca, Tasso, Manzoni, ma anche Machiavelli, Foscolo, Leopardi, D’Annunzio… Scrittori, insomma, che agitano questioni spirituali e morali resuscitando il testo sacro, reinterpretato, emulato o magari parodiato e contestato. Ma echi biblici, inconsci o dissimulati, innervano opere di scrittori impensabili. La novella di Verga Cavalleria rusticana cela fitti e inequivocabili rinvii cristologici: narra la mala Pasqua di compare Turiddu, 'piccolo Salvatore' figlio della gnà Nunzia, alias Maria Annunziata (il padre non si nomina), che dopo l’ultima cena con gli amici all’osteria, e il bacio funesto del suo rivale muore ammazzato la mattina in cui si festeggia la Resurrezione.

Dal confronto tra le due opere morcelliane si può tracciare un diagramma della fortuna della materia biblica e di quella mitologica lungo i secoli. Generalizzando, nel Medioevo si registra la preminenza del testo sacro come fonte letteraria, mentre i classici prevalgono nell’Umanesimo e nel Rinascimento; il modello biblico si riaffaccia di prepotenza nell’età della Controriforma, prima di venir dileggiato dagli illuministi, avversi peraltro anche ai miti; riprende poi quota nella celebrazione del meraviglioso cristiano caro ai romantici che proscrivono le favole antiche, riabilitate dall’estetismo neopagano di Carducci e D’Annunzio… Ma non ci troviamo davanti a due schieramenti ostili: gli autori che sposano la causa biblica avversando quella mitologica, o viceversa, sono una minoranza; i più sono invece pronti ad attingere al patrimonio greco- latino come a quello giudaico- cristiano, sentiti come mondi complementari e in parte affini. Alcuni padri della Chiesa non consideravano forse la letteratura classica come un altro antico testamento? La tradizione classica e quella biblica hanno continuato a vivere nelle letterature d’Europa, costituendo due colonne portanti della civiltà occidentale. E continuano a essere pietra d’inciampo e lievito fermentante per il talento di scrittori e per la coscienza di lettori che non cerchino nei libri solo diletto, evasione, distrazione.