Agorà

Museo di Abu Dhabi. Louvre d'Arabia, pasticcio universale

Maurizio Cecchetti sabato 21 giugno 2014
Anche in questi giorni dove il clima di Parigi, nonostante il sole e il cielo limpido, è mite e rinfrescato, appena si varca la soglia del Louvre e si scende dalle scale mobili dentro la hall piramidata voluta da Mitterrand e costruita da Ieoh Ming Pei, si prova quella sensazione di calura e di mancato riciclo d’aria che subito fa capire quanto possano essere scomodi e sbagliati i monumenti nati dalle ambizioni politiche di uomini che aspirano all’immortalità attraverso l’architettura e guardano solo al valore simbolico di ciò che li rappresenta. Una folla di turisti chiassosi, comitive scolastiche, sciami di cinesi e giapponesi scendono dentro questa gigantesca hall che smista, come in un aeroporto o in un moderno centro clinico-sanitario- funerario (il ventre della piramide, appunto), i visitatori in t-shirt e calzoncini verso le sale espositive; molti sostano come in una piazza, mangiano e bevono, s’infilano nella libreria-boutique (così ultimamente è stata trasformata, spostando al piano superiore i libri e allargando al piano terra lo spazio per i gadget e le cianfrusaglie che piacciono tanto ai turisti e alle comitive di ragazzini). Il nuovo direttore del Louvre, Jean-Luc Martinez, che nel 2013 ha sostituito Henri Loyrette, eredita un progetto di cambiamento e riassetto del museo dal suo predecessore, che prevede tra l’altro l’apertura di due nuovi ingressi alla piramide rispetto ai tre già esistenti. Il vero problema di Martinez,  però, è un altro. Se non fossimo a Parigi, si direbbe la solita storia all’italiana. E che storia, ragazzi! Ormai sette anni fa, a conclusione della presidenza Chirac, venne firmato un accordo tra il governo francese e la città di Abu Dhabi, negli Emirati arabi, per la realizzazione di un museo sull’isola di Saadiyat (l’isola delle felicità), in un’area di oltre sessantamila metri quadri sulla quale troveranno posto anche il National Museum Sheihk Zayed di Norman Foster, il Guggenheim di Frank Gehry e un centro per lo spettacolo firmato da Zaha Hadid. Il Louvre di Abu Dhabi venne affidato al più importante architetto francese degli ultimi vent’anni, Jean Nouvel. Quattro musei e il gotha delle archistar. Doveva inaugurare nel 2012 il Louvre d’Arabia, ma adesso si parla del 2015, o forse anche del 2016. Intanto, però, le polemiche si sono alzate di tono.  Il Museo parigino risponde con una mostra,  Louvre Abu Dhabi. Naissance d’un Musée ,  esponendo 190 delle circa 300 opere che dovranno arrivare ad Abu Dhabi e sommarsi ad altre 600 provenienti da diverse collezioni. L’idea, secondo la conservatrice incaricata di gestire il progetto, Laurence des Cars, è quella di creare un «museo universale ». Interrogato in proposito da “Le Monde”, Martinez – presidente del Louvre, ma anche dell’agenzia France-Muséums, creata apposta per gestire i rapporti con l’Emirato arabo –, ha risposto che non si tratterebbe di questo, quanto piuttosto di mostrare una storia delle immagini e della diffusione delle opere. Insomma, un museo dell’osmosi tra le culture e le arti lungo i millenni. Il vero obiettivo, però, è quello di ribadire la centralità dell’Europa (e della Francia, soprattutto) nello scenario geopolitico globalizzato, e infatti sono fioccate accuse di eurocentrismo alla dirigenza del Louvre: una vecchia categoria che sembrava scomparsa dal linguaggio politico-culturale,  ma che oggi ritorna d’attualità. “Liberation”, che ha dedicato due mesi fa un dossier al caso Louvre-Abu Dhabi, ironizzava su questa idea di universalità, frutto, secondo il quotidiano francese, del “politicamente corretto”: «Un Cristo bavarese, un Corano, una Vergine del Bellini, un pizzico di nudità, un pelo di tragedia biblica, un gitano di Manet e una scena medievale di Ingres, un avorio tedesco, uno sgabello 1920, una spilla carolingia». E concludeva definendo l’insieme uno «zapping di storia dell’umanità». È proprio così: un esempio di sincretismo depurato da ogni senso storico. La mostra si apre col plastico dell’edificio, indubbiamente pensato per stupire: una immensa cupola di 180 metri di diametro, che pesa più della torre Eiffel, sostenuta solo da  quattro punti, tutta traforata con un sistema per far filtrare la luce che s’ispira al fogliame della palma. «Di giorno è come un’oasi nel deserto – ha detto Nouvel – e di notte è una volta celeste dove risplendono  mille luci». Il fatto è che il progetto costruttivo è stato affidato a una impresa spagnola soltanto l’anno scorso; e questo si deve anche alle mille perplessità che sono sorte dopo il 2011 da parte degli Emirati, che accusano Parigi di non aver nemmeno creato un’équipe scientifica che si stabilisse sul posto per organizzare i lavori. E per questo avevano sospeso  anche i finanziamenti. Il progetto inizialmente non fu visto bene dall’allora direttore Loyrette, che lo considerava  una mera operazione di marketing, contraria allo spirito con cui sono nati i musei francesi: mettere a disposizione del popolo i tesori confiscati ai nobili e alla Chiesa, per creare un luogo “pedagogico”, dove chiunque possa acculturarsi e comprendere la storia e la grandezza dell’uomo. Ecco dove si radica l’universalità che, a dispetto delle depistanti risposte di Martinez, è ribadita a chiare lettere nel catalogo della mostra. E intanto Parigi e Abu Dhabi si passano, a colpi di lettere e accuse, la patata bollente. Abu Dhabi investirà nell’operazione quasi un miliardo di euro fra diritti per l’utilizzo del marchio Louvre (400 milioni), per il prestito delle opere (190), per l’organizzazione e l’assistenza tecnica museale nell’allestimento dei 24mila metri quadrati espositivi (165), per la produzione di quattro mostre annuali lungo un quinquennio (13). In questa storia, però, sembrano tutti scontenti, e tutti allo stesso tempo lottano perché il museo si faccia alle proprie condizioni. Lo stesso Nouvel si era visto imporre per un certo periodo una esperta di scenografie espositive, Nathalie Crinière,  perché gli Emirati erano perplessi sulle sue soluzioni museali al Quai Branly, il grande museo in zona Trocadero dedicato alle culture extraeuropee (Nouvel, di idee anarchiche e di sinistra, si era rivelato al mondo con l’Institute du Monde Arabe  nel 1987). Le conclusioni. Sostituito Chirac alla presidenza nel 2007, Sarkozy tenne alcuni discorsi agli artisti dove incentivava la loro intraprendenza nella progettazione spettacolare. A Nimes nel 2009, in un discorso intitolato «Auguri agli artefici della cultura », lamentava che l’architettura francese degli ultimi vent’anni a Parigi avesse prodotto soltanto cose «fiacche», e invitava gli architetti a prendere esempio da New York mostrando più ambizione. Sull’accordo con Abu Dhabi disse: «Quando vedo i prodigi architettonici realizzati ad Abu Dhabi e a Doha, questa è un’eccellente notizia ». Ma Abu Dhabi e le altre città artificiali cresciute negli Emirati arabi sono tutto tranne che un esempio da seguire, essendo il lunapark del  real estate ,  la speculazione edilizia, dove cascate di denaro vengono impiegate per nuove torri di Babele, non certo per un’ architettura dalla misura umana. Ma Sarkozy a un certo punto svelò le sue intenzioni: «Se si potesse fare la stessa cosa a Singapore, questa ci aprirebbe l’Asia e sarebbe un’altra eccellente notizia». Si tratta, dunque, di una strategia geopolitica, e postcoloniale, che rimetta la Francia al centro della scena internazionale creando avamposti e presidi che diffondano il linguaggio culturale e politico di cui i francesi si sentono, da oltre due secoli, depositari. In quest’ottica, gli scambi culturali e il potere di rappresentazione delle arti sono strumenti fondamentali (come, un tempo, le esposizioni universali). Dietro l’accordo tra Louvre e Abu Dhabi si cela dunque un progetto di più ampia portata (pare, tra l’altro, che debba nascere nell’area anche una base militare francese). Ecco perché si insiste tanto sull’universalità del progetto museale del Louvre arabo, perché il sincretismo delle arti e delle civiltà che ha formato nei secoli della rivoluzione e del colonialismo le collezioni del museo francese, resta un modello per una diversa colonizzazione culturale. Che sia questa la ragione di tanti impedimenti e malintesi nella nascita di nuovo Louvre?