Agorà

Europei. L'Italia s'inchina ai belgi in ginocchio

Furio Zara martedì 29 giugno 2021

I belgi Witsel e Lukaku in ginocchio prima della sfida vinta col Portogallo

Era un peso, ora è una posa. Venerdì sera a Monaco contro il Belgio gli azzurri si inginocchieranno. Che la farsa sia con voi. Hanno fatto marcia indietro, o forse marcia avanti. È un cambio di posizione, quindi siamo nel campo della tattica. Che confusione, sarà perché ti amo (Italia). Sono stati giorni segnati da sentimenti contrastanti e vaghe (in)decisioni. Della serie: non capisco, ma mi adeguo. Comunque vada resterà la figura barbina, resteranno gli impacci di una squadra incapace di prendere una posizione seria su una questione così delicata, resterà il farfugliare di Bonucci e l’imbarazzante dichiarazione di capitan Chiellini, che confonde il razzismo con il nazismo, resterà il dubbio alla Nanni Moretti: mi si nota di più se mi inginocchio o se invece me ne sto in piedi? Italia sì, Italia no: se famo du spaghi, cantavano Elio e le Storie Tese.

A piè di pagina – nella convulsa giornata di ieri – vi è il balletto delle note ufficiali della Figc. Prima nota: «Come ha spiegato Chiellini, la squadra si inginocchierà per solidarietà con gli avversari e non per la campagna in sé, che non condividiamo». Dunque ora sappiamo che la Figc non condivide la campagna Black Lives Matter contro il razzismo. Non sia mai. Va detto che la Federcalcio è fedele alla tradizione – sminuire, contestualizzare, sfilarsi, parlare d’altro – e ci restituisce la perfetta fotografia di un Paese che non sa – non ce la fa proprio – a fare i conti con la quotidiana dose di razzismo che lo attraversa.

Da anni – considerato quello che succede negli stadi italiani – se ne ha ripetuta conferma. Seconda nota: bella inversione all’italiana per esprimere «sostegno incondizionato a tutti agli azzurri» e si specifica che la Figc «ha ritenuto opportuno lasciare alla squadra la libertà di aderire alla campagna Black Lives Matter». Banderuole al vento, sempre a favore di opportunità: si sta come gli azzurri di Mancini, in questa estate divisiva, tra calcio e politica, con invasioni di campo non richieste da parte di chi cavalca l’onda. Enrico Letta, segretario del Pd, li avrebbe voluti tutti in ginocchio, fin dall’inizio del torneo. Matteo Salvini, leader della Lega, dice che inginocchiarsi è da radical chic e a lui piace «il calciatore azzurro che si inginocchia dopo il gol, come Chiesa contro l’Austria».

Pavidi e indifferenti – gli azzurri – fino ad oggi, poi – oplà – consapevoli che c’è vita anche oltre il perimetro di gioco e non ci sarà certo il Var a venirti a pescare in fuorigioco, se ti inginocchi per chi è vittima del razzismo. Chissà come le commenteremo – tra due, dieci, venti anni – le fotografie dell’Italia in questo Europeo, itinerante come le opinioni. Contro il Galles si erano inginocchiati in cinque, contro l’Austria nessuno, contro il Belgio lo faranno tutti. Parafrasando quel terzino vintage: «Sono d’accordo a metà con la campagna contro il razzismo». È la cosiddetta credibilità a targhe alterne. Pare che a spingere per la contro-scelta (ma anche scelta-contro) sia stato Matteo Pessina, uno dei cinque in ginocchio contro il Galles. «Sulla lotta al razzismo e su come comportarci la pensiamo tutti uguale », ha detto il centrocampista azzurro. Eppure più di Mohammed Alì, per gli azzurri poté Lino Banfi. I grandi che hanno fatto la storia dello sport anche con i loro gesti – dall’iconico pugno chiuso e guantato di nero di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico del ’68 fino al campione di F1 Lewis Hamilton che al Mugello è salito sul podio indossando una maglietta con sopra scritto «Arrest the cops who killed Breonna Taylor»: arrestate i poliziotti che hanno ucciso Breonna Taylor – non hanno avuto lo stesso impatto dell’esclamazione in finto-barese del comico.

E allora tutti giù per terra venerdì sera contro il Belgio, in segno di rispetto per i colleghi che già l’altra sera prima del fischio d’inizio si erano inginocchiati alla pari dei loro avversari, i portoghesi. Rispetto per i belgi: siamo alle comiche. Non per chi lotta per i diritti civili, non per chi – quei diritti – se li vede negati, non per i primi sportivi che hanno intuito la portata di un piccolo grande gesto. Come Colin Kaepernick, il giocatore di football americano che si inginocchiava durante l’inno statunitense in segno di protesta per le violenze della polizia nei confronti degli afroamericani. Netflix ne ha fatto una serie-tv, tra poco in uscita. Magari agli azzurri capiterà di guardarla, persino apprezzarla e qualcuno commenterà: che bella storia, non ne avevo mai sentito parlare.