Agorà

Inchiesta. Inchiesta sui conti in rosso della lirica

PIERACHILLE DOLFINI sabato 9 aprile 2016
Le sorti dei lavoratori dell’Arena di Verona sono ora nelle mani del Mibact, il ministero per i Beni e le attività culturali e il turismo. Spetterà a Dario Franceschini decidere se mandare tutti a casa o se provare la strada del commissariamento. L’altra sera la decisione del Consiglio di indirizzo dell’istituzione veronese che ha chiesto la messa in liquidazione della fondazione, procedura che prevede il licenziamento di tutti i lavoratori. Il ministro, però, potrebbe prendere tempo e scegliere di affidare il tentativo di risanare le casse del teatro a un commissario esterno. Quella della messa in liquidazione è una scelta obbligata secondo il sindaco di Verona Flavio Tosi, che per statuto è anche presidente della fondazione Arena, arrivata dopo il “no” dei lavoratori al protocollo di intesa firmato dai sindacati e dai vertici del teatro. Maestranze spaccate sul piano di ristrutturazione messo a punto dalla fondazione: 132 i no, 130 i sì. Bocciato dunque il piano messo a punto con fatica dopo mesi di trattative e occupazione delle sale del Filarmonico (la sede invernale dell’Arena) iniziata a novembre quando il sovrintendente Francesco Girondini aveva deciso di azzerare il contratto integrativo: si era arrivati a un accordo che, grazie a un taglio ai costi di 4 milioni di euro l’anno, salvaguardava i posti di lavoro scongiurando gli ottanta licenziamenti messi inizialmente sul tavolo. Un piano di risanamento necessario per coprire un buco che stando ad alcune voci potrebbe aggirarsi intorno ai 32 milioni di euro. Indispensabile per accedere ai contributi straordinari del Comune di Verona resi disponibili dallo sblocco del patto di stabilità e soprattutto ai fondi messi a disposizione dalla legge Bray (finanziamenti in pratica a tasso zero da restituire in trent’anni) per le fondazioni liricosinfoniche in crisi. Strade che avrebbero consentito alla fondazione di chiudere il bilancio in pareggio, ma che per ora, in attesa del pronunciamento del Mibact, restano chiuse.  Non resteranno chiuse, invece, quest’estate le porte dell’Arena. Lo assicura il sindaco Tosi che annuncia che il cartellone estivo, già pronto e già con i contratti degli artisti firmati, verrà seguito direttamente dal Comune di Verona «in una gestione più privatistica di quella attuale». Dal 24 giugno, dunque, Carmen e Aida dovrebbero andare regolarmente in scena sul palcoscenico lirico sotto le stelle più famoso del mondo. Ma se la fondazione sarà liquidata non con orchestra, coro e tecnici dell’Arena, piuttosto con «artisti e macchinisti a contratto» spiega il primo cittadino per il quale «la bocciatura dell’accordo da parte dei dipendenti dimostra che c’è ancora chi pensa che si possano mantenere a carico della spesa pubblica privilegi preistorici in quello che è il mondo del lavoro moderno».  Quello di Verona non è un caso isolato nel panorama italiano delle quattordici fondazioni liriche che avrebbero un debito complessivo di 392 milioni di euro. La richiesta di messa in liquidazione dell’Arena ricorda quanto accaduto nel 2014 all’Opera di Roma quando l’allora sindaco Ignazio Marino licenziò i 182 musicisti di orchestra e coro in seguito agli scioperi che avevano paralizzato il teatro e portato all’addio di Riccardo Muti. Le cose poi rientrarono grazie all’intervento del Mibact. La legge Bray ha aiutato otto fondazioni liriche a rimettere i conti a posto: a chiedere l’intervento straordinario dello Stato, tra gli altri, il Maggio musicale fiorentino che grazie ai fondi ministeriali ha chiuso in pareggio il bilancio 2015.  E se il Teatro Regio di Torino ha da sempre attuato una politica che ha consentito il pareggio di bilancio, l’Accademia nazionale di Santa Cecilia di Roma e il Teatro alla Scala, grazie ai bilanci e agli statuti messi in campo, hanno ottenuto l’autonomia gestionale che prevede certezza triennale dei finanziamenti statali e maggiore libertà nella trattativa sui contratti con i sindacati. Ma proprio il nuovo contratto dei lavoratori, che per continuare a garantire l’autonomia al teatro milanese deve essere siglato in tempi brevi, sembra dare problemi al sovrintendente Alexander Pereira. Dalle prime assemblee della Cgil sembra emergere un “no” degli iscritti al sindacato guidato dal segretario generale Susanna Camusso all’accordo proposto. I nodi verranno al pettine nell’incontro convocato dal teatro per il pomeriggio di mercoledì prossimo.