Agorà

Giornata dell'Europa. L'Europa di Schuman, un'idea nata per la pace

Edoardo Zin martedì 9 maggio 2023

Robert Schuman (1886-1963)

«L’Europa non è stata fatta ed abbiamo avuto la guerra»: così Robert Schuman il 9 maggio 1950. Quale guerra? Quale pace? Schuman visse due guerre mondiali: la prima, essendo cittadino tedesco perché la terra dei suoi avi, l’Alsazia e la Lorena, era stata invasa dall’esercito tedesco e annessa al Reich; la seconda, quando fu dapprima incarcerato dalle truppe naziste, successivamente destinato a residenza coatta in Germania, da cui una notte evase per raggiungere la Francia libera e darsi alla clandestinità. Egli fu vittima per ben due volte del nazionalismo che celebrava la superiorità culturale di una nazione sull’altra, la forza dell’economia e della finanza per realizzare il fine di egemonia economica e politica. La follia di Hitler mirava a creare un’Europa unificata sotto l’imperialismo nazista e all’inizio il suo tentativo riuscì perché non si contrappose a lui un’Europa, ma una quantità di Stati in condizione di rivalità e di polemica continua.

Alla fine della guerra, Robert Schuman, ministro francese degli Esteri della Francia, vede davanti a sé un’Europa straziata e disfatta, mucchi di rovine là dove erano le fonti stesse della ricchezza, l’Europa ancora divisa tra le forze degli alleati occidentali e l’Urss. Tra i due colossi in gara, essa avrebbe potuto diventare nuovamente terreno di scontro e uscirne spezzata nuovamente. È a questo punto che Robert Schuman, più che coloro che lo avevano preceduto nel progettare un’Europa unita, pensa che soltanto l’unione degli europei avrebbe potuto instaurare una pace duratura. Come fare? Anzitutto togliendo di mezzo una delle cause che era stata motivo di discordia: il possesso di quei territori nel cui sottosuolo giacevano due materie prime necessarie all’industria bellica: il ferro e il carbone.

Occorreva arrivare a un accordo tra la Francia, paese vincitore, e la Germania, paese vinto. Un collaboratore di Schuman aveva proposto al ministro di mettere in comune le due risorse. Il suggerimento non era di facile soluzione perché l’opinione pubblica francese ricordava ancora le tragedie perpetrate dai nazisti di cui il parlamento era lo specchio; anche all’interno dello stesso governo c’erano divergenze, inoltre Schuman ereditava una politica estera, quella di De Gaulle e di Bidault, che avevano lavorato per il ripristino del ruolo internazionale della Francia. Allo stesso tempo si trovava nella responsabilità di risolvere il “problema tedesco”. Gli alleati americani, britannici e francesi erano preoccupati perché temevano un’eventuale, nuova aggressione tedesca, mentre Schuman era deciso a far rientrare la Germania nel novero delle nazioni democratiche. Schuman fu incaricato dagli altri due alleati di trovare una soluzione per unire la parte occidentale in un unico stato sotto la guida del cancelliere Adenauer.

Lo spirito del ministro va ben oltre: è animato dall’idea di integrare Germania, Francia, Italia e i tre paesi del Benelux in un’unica comunità: quella della Ceca, «primo passo verso una federazione europea». La pace è dunque per Schuman l’impossibilità di fare una guerra, eliminandone le cause, togliendo agli stati nazionali il diritto di fare la guerra, secondo un principio caro a Kant, creando una federazione di stati, ma soprattutto sviluppando uno stato d’animo positivo per contribuire non a cancellare, ma a difendere le diversità. Oggi l’Europa non è più uno spazio di pace: la guerra in Ucraina sembra non abbia nulla insegnato e la solidarietà cede, scompare talvolta, lascia il posto ad altri conflitti, mentre i grandi sbandierano le trattative di pace e dimenticano che la diplomazia ha bisogno di silenzio, di studio, di dialogo nascosto, di incontri riservati proprio come fece Schuman prima di rendere pubblica la sua dichiarazione del 9 maggio di settanta anni fa.

Schuman non fece a tempo di leggere la Pacem in terris di Giovanni XXIII, che egli aveva incontrato più volte a Parigi quando Roncalli era nunzio. Era già stato colpito dall’ictus che l’avrebbe portato a lasciare questa terra nel settembre del 1963. I due si erano incontrati per l’ultima volta nell’autunno del 1959 e, congedandosi, Giovanni XXIII disse a Schuman: « Permette che conservi questo segreto? Non offro mai la chiave per aprire la cassaforte nella quale sono racchiusi i documenti che conservo più gelosamente». La cassaforte era il suo cuore di Padre.