Agorà

Il caso. Lettere aperte ai cristiani perseguitati

Giacomo Gambassi martedì 8 dicembre 2015
​Diciotto lettere aperte indirizzate ai cristiani perseguitati del terzo millennio. Compongono il libro Ma non vincerà la nottee sono scritte da Giulio Albanese, Ignazia Angelini, Luigino Bruni, Marco Burini, Gemma Capra, Franco Cardini, Giuseppe Dalla Torre, Cristiana Dobner, Guido Dotti, Chiara Giaccardi, Mauro Magatti, Ermenegildo Manicardi, Mary Melone, Francesco Montenegro, Giovanni Cesare Pagazzi, Antonio Riboldi, Davide Rondoni, Angelo Scola, Maria Voce. I proventi del volume, che esce mercoledì 9 dicembre in libreria a cura di Cristina Uguccioni, saranno devoluti ai francescani di Terra Santa per le opere in favore dei cristiani oppressi in Siria. Il libro sarà presentato a Milano lunedì 14 dicembre, alle 18, nella sede della Fondazione Terra Santa (via Gherardini, 5) da Davide Rondoni, Chiara Giaccardi e Mauro Magatti. Indossano tute arancioni. Camminano lungo una spiaggia della Libia, accompagnati da uomini mascherati, ciascuno armato di un coltello. Vengono fatti inginocchiare. E, dopo una manciata di secondi, le acque del Mediterraneo si colorano di rosso per il loro sangue. I ventuno egiziani uccisi lo scorso febbraio dai miliziani del Califfato sono cristiani di rito copto. Le raccapriccianti immagini del loro “martirio” diffuse sul web raccontano con la loro crudeltà le persecuzioni dei troppi “Stefano” che sono oppressi o assassinati per una sola ragione: il Vangelo. Libia, Siria, Iraq, India, Sudan, Kenya, Corea del Nord sono le terre dei massacri che hanno come vittime i «nostri fratelli nella fede», ripete papa Francesco. Paesi dell’Africa e dell’Asia «dove si bruciano le chiese, dove si uccidono i fedeli solo perché sono tali, dove si segnano con la vernice colorata le case dei cristiani esattamente come nella Germania nazionalsocialista s’imbrattavano i muri delle abitazioni e le vetrine», nota lo storico Franco Cardini. E rivolgendosi a coloro che finiscono inghiottiti dalla “notte più nera” spiega: «Voi non siete perseguitati e talora uccisi per qualcosa che abbiate fatto, ma solo per quel che siete; venite condannati solo perché avete la colpa di esistere». Cardini si definisce un «cristiano privilegiato». E scrive ai “beati” del terzo millennio che, come dice il Signore nel Vangelo, sono vessati «a causa mia». La sua è una delle diciotto lettere aperte che i cristiani d’Italia – con i volti di cardinali, consacrati, intellettuali, esponenti dei laicato cattolico, preti di frontiera – scrivono ai «cristiani lontani perseguitati». Compongono il libro Ma non vincerà la notte (Edizioni Terra Santa, pagina 128, euro 12,90) curato dalla giornalista Cristina Uguccioni.Le morti e i soprusi interrogano chi crede in Occidente. «Siamo sostanzialmente acquiescenti nella nostra non reattività, nella nostra inerzia, mentre dovremmo giorno dopo giorno, ora dopo ora, continuare a gridare nelle vie, nelle piazze, sui tetti l’intollerabilità di certi fenomeni», avverte Giuseppe Dalla Torre, presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano ed ex rettore dell’Università Lumsa di Roma. Al mondo “evoluto” chiede di «essere coerenti anche per quanto attiene alla libertà religiosa, con la “fede” di noi occidentali sui diritti umani e con la nostra vocazione al proselitismo per la diffusione del loro rispetto».Proprio Bergoglio ha denunciato con forza il mutismo «complice» dell’Occidente. «Il vostro dramma – osserva il vescovo emerito di Acerra, Antonio Riboldi – è ancora troppo poco conosciuto nel nostro mondo, ripiegato sul proprio benessere. Troppo spesso sono altre le situazioni che “fanno notizia” e domina la “globalizzazione dell’indifferenza”». Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, chiama in causa chi governa cui «spetta il compito di prendere decisioni necessarie e ridisegnare con sapienza le relazioni fra tutte le realtà mediorientali». Poi si rivolge a politici ed esperti di geopolitica che hanno il compito di «pronunciarsi su come fermare la tragedia rappresentata dall’Isis e dagli altri fondamentalismi violenti che costituiscono una minaccia grave per l’umanità intera». Secondo il comboniano Giulio Albanese, quanto accade alle minoranze cristiane «provoca fortemente il nostro eloquente perbenismo fatto spesso di meschina esteriorità». E cita le parole profetiche di don Tonino Bello, il “vescovo del dialogo” di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi. «“Se essere cristiani fosse un delitto e voi foste condotti in tribunale accusati di questo delitto, riuscirete a farvi condannare?”. Chissà, “forse molti di noi, per mancanza di testimonianza”, commentava provocatoriamente, “sarebbero prosciolti da ogni addebito”». La violenza che si abbatte su chi testimonia il Risorto fa tornare alla mente l’assassinio dell’arcivescovo di San Salvador, Óscar Romero, beatificato lo scorso 23 maggio. Ricordano un suo pensiero i docenti dell’Università Cattolica Chiara Giaccardi e Mauro Magatti: «Se Dio accetta il sacrificio della mia vita, che il mio sangue sia un seme di libertà e il segno che la speranza sarà presto realtà».Il delirio di ripulire la terra dalla “peste cristiana” rinvia al coraggio della fede. «Lì dove ti trovi – scrive l’arcivescovo di Agrigento, cardinale Francesco Montenegro, parlando idealmente con un cristiano perseguitato – anche senza l’uso di parole ma con gesti precisi, hai il coraggio che ti porta a fare ciò in cui credi; io qui ho il dovere di essere altrettanto coraggioso nella denuncia del male, dell’ingiustizia, dell’oppressione». La furia contro il “genio cristiano” – come ogni dolore e sofferenza – evoca anche la grande domanda sul «silenzio di Dio di cui siamo in ascolto», ricorda la badessa Ignazia Angelini a nome della comunità monastica benedettina di Viboldone, in provincia di Milano. E rimanda all’urgenza del perdono. «Nella mia preghiera – racconta Gemma Capra, vedova del commissario Luigi Calabresi ucciso da un commando di Lotta Continua – chiedo al Signore che illumini e converta i cuori di quanti vi stanno perseguitando, uomini che sono preda del fanatismo e dell’ideologia. So che è un esercizio molto difficile per chi ha subìto sopraffazioni e patisce lutti irrecuperabili provare a pregare per chi ha compiuto il male. Nel corso della mia vita ho imparato che questa è una scelta buona, ho compreso che anche gli uomini che hanno compiuto orribili gesti di violenza hanno l’impronta di Dio, proprio come noi sono Suoi figli in cui abitano barlumi di bene». Riconciliarsi, ecco la sfida. Come suggerisce il Papa con il Giubileo della misericordia.