Agorà

Antologie. Letteratura araba oltre gli stereotipi

Alessandro Zaccuri domenica 14 febbraio 2021

Pellegrinaggio alla Mecca in tempo di Covid

Fanno tutti così: arrivano al portone, scambiano due parole con i vicini e poi se ne tornano indietro, senza neanche salire per vedere quell’appartamento dal prezzo allettante. Colpa dell’indirizzo, che tutto può definirsi tranne che buono. Ma anche se si decidesse di non farci caso, una volta sul posto non si potrebbe fare a meno di notare la vicinanza con la prigione di Tura, che incombe minacciosa sul quartiere. Ambientato al Cairo, Un’occhiata all’appartamento dell’egiziano Muntaser al-Qaffash è uno dei racconti compresi in Voci di scrittori arabi di oggi e di domani (Bompiani, pagine 344, euro 15,00), l’antologia a cura di Isabella Camera d’Afflitto e Maria Avino con la quale si completa il percorso avviato nel 2017 da Voci di scrittori arabi di ieri e di oggi. Si trattava, in quel caso, del rifacimento di un volume allestito dalla stessa Camera d’Afflitto nel 1994, in un momento nel quale l’interesse per le letterature post-coloniali finiva per privilegiare gli autori che, pur appartenendo al mondo arabo, si esprimono in una lingua europea, prevalentemente in francese. Da allora il bisogno di istituire un contatto più diretto con la cultura e la società dei Paesi arabi si è fatto più urgente, per un complesso di fattori nei quali rientrano sia la rilevanza assunta dal fenomeno delle migrazioni, sia le tensioni derivanti dal dilagare di fondamentalismo e terrorismo.

A confermare questa esigenza di approfondimento contribuisce un altro libro recente, Adab ‘arabi (Ares, pagine 288, euro 18,00), nel quale Paolo Branca presenta una scelta ampia e ragionata delle più significative «pagine di letteratura araba dagli inizi ai nostri giorni ». Anche in questo caso, molto cospicuo è lo spazio dedicato alla situazione moderna e contemporanea, anche attraverso un’utile rassegna schematica delle principali letterature nazionali, alla quale si affianca un efficace contributo di Paolo Gonzaga sulla bibliografia del cosiddetto «islam politico», dai saggi su cui si fonda l’ideologia dei Fratelli musulmani fino all’aggressiva pubblicistica del Daesh. Non diversamente dalla duplice raccolta di Voci di scrittori arabi, anche Adab ‘arabi (il primo termine sta per “letteratura”) rappresenta un importante esempio di divulgazione e mediazione maturate in ambito accademico: Branca insegna alla Cattolica di Milano, Avino all’Orientale di Napoli, Camera d’Afflitto è oggi professore onorario alla Sapienza di Roma. La notazione è meno marginale di quanto potrebbe apparire, perché rende conto di come, anche in Italia, esista ormai una tradizione consolidata di studi e di rapporti con le letterature di un’area che troppo spesso cade ancora sotto gli stereotipi dell’orientalismo. E se nell’antologia del 2017 Camera d’Afflitto metteva in guardia dalla tentazione di identificare la narrativa araba con il sognante apparato delle Mille e una notte, Branca è addirittura perentorio nel concedere solo quale che riga a quella che definisce «una compilazione tardiva di racconti popolari di valore inferiore letterario inferiore alle grandi opere dell’epoca classica».

Molto più delle imprese del marinaio Sindbad, nel percorso di Adab ‘arabi conta la fioritura di arti e di pensiero alla corte degli Abbasidi, dove in pochi decenni, nel passaggio tra l’VIII e IX secolo, vengono resi disponibili in traduzione araba i testi fondamentali della cultura greca (un patrimonio al quale più tardi lo stesso Occidente latino attingerà per il tramite delle versioni arabe). Basterebbe questo elemento per cogliere la complessità di un contesto nel quale fiorisce, tra l’altro, la «poesia bacchica», nella quale l’interdetto coranico contro il vino viene stemperato nella prospettiva del trasporto amoroso e mistico. La letteratura araba, del resto, precede il costituirsi dell’islam, come dimostrano i documenti dell’età arcaica tra i quali spicca la bellissima ballata del bandito Shanfara, ma anche nelle epoche successive non viene meno un dinamismo che tocca pure il rapporto con il Libro sacro. Si pensi alla corrente che nell’Ottocento fa idealmente capo a Jamal al-Din al-Afghani, il teologo iraniano al quale si deve l’impulso per una riforma dell’islam, ma anche alla penetrazione – tardiva eppure efficace – di un genere come il romanzo, ampiamente praticato dagli autori arabi nel XX secolo. Branca si sofferma sulle figure del premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz (di cui è stato traduttore) e di uno dei suoi eredi più apprezzati, ‘Ala a-Aswani. Sul versante poetico, sono ormai ampiamente recepiti i risultati della ricerca del palestinese Mahmud Darwish e del siro-libanese Adonis.

Sulle forme narrative brevi e brevissime si concentra il lavoro di Camera d’Afflitto e Avino (nota, quest’ultima, anche come traduttrice del romanziere siriano Kahled Khalifa). Questo permette da un lato di rivalutare una tradizione tipicamente araba, come già dimostravano i brani di provenienza novecentesca presenti nell’antologia del 2017, e dall’altro invita a valorizzare la vivacità di una produzione che in questi anni si sta molto sviluppando in rete. Le riviste online e perfino le pagine Facebook di alcuni autori sono infatti tra le fonti alle quali attinge Voci di scrittori arabi di oggi e di domani, favorendo un allargamento di orizzonti e, non di rado, il ribaltamento di molti luoghi comuni. Segnata dal magistero della grande letteratura europea (si impone, tra tutti, il modello di Kafka), la letteratura araba sta percorrendo strade che a più di un lettore risulteranno imprevedibili. Molto rappresentata è la condizione femminile, con soluzioni tutt’altro che concilianti come quella immaginata dall’irachena In‘am Kajahji in Donne spaventate, ed è insistente il ricorso alle formule della fantascienza e della distopia. Che possono anche sovrapporsi, come accade con i racconti dell’iracheno Khaled Kaki e dell’egiziano Basma ‘Abd al-‘Aziz. Il primo ci presenta un fantomatico tiranno tecnocratico, il secondo un despota fin troppo terrestre, convinto di poter eliminare la morte per decreto. Perché, sì, anche nella letteratura araba si ride. Magari amaramente, ma si ride.