Agorà

Intervista. Leo Gassmann: «Ora tocca a noi giovani»

Lucia Bellaspiga martedì 21 aprile 2020

Leo Gassmann ha vinto Sanremo Giovani

«In gara tra i big? Ora ho davanti a me un anno per crescere, vedremo, intanto mi godo il mio sogno». Lo avevamo lasciato così, il giovane Leo Gassmann, 21 anni, figlio di Alessandro e nipote di Vittorio Gassmann: sul palco dell’Ariston, tra le mani la palma della vittoria nella sezione giovani del Festival di Sanremo. Solo due mesi fa, ma per certi versi due ere geologiche. «Con la mia voce vorrei ispirare quei ragazzi che non credono in niente, mi piacerebbe cambiare il mondo, lasciarlo meglio di come l’ho trovato…», pensava in grande, ed era metà febbraio.

Ma intanto a cambiare è stato il mondo. «Il Coronavirus mi ha chiuso in casa insieme a mio padre, mia madre, la mia ragazza e il cane. Ci ha sorpresi nel piccolo casale di famiglia in Toscana, dove dovevo trascorrere due giorni di pausa post Sanremo e post esami universitari, e invece siamo rimasti bloccati qui, ligi alle norme. Un’esperienza prima inimmaginabile, ma dalla quale sta nascendo in me l’ispirazione per tanti nuovi brani di un prossimo album. Nessuno uscirà da questa storia uguale a prima, anche io e i miei testi saremo molto diversi».

Intanto dal 10 aprile hai lanciato in tutte le radio Maleducato, nuovo singolo già presente nel tuo primo album Strike uscito a ridosso di Sanremo. Un forte invito al rispetto delle regole, oggi vitali per sconfiggere la pandemia?
Il brano era nato in tutt’altro contesto, ma ora è vero che assume un significato molto attuale. Lo avevo concepito a ottobre scorso seguendo mio padre a Napoli nel suo lavoro, ero affascinato dal fatto che spesso a sorridere e ad essere più generose sono le persone che hanno meno, i quartieri poveri. Intendevo ringraziare gli uomini e le donne che scelgono la gentilezza verso il prossimo nonostante le ingiustizie e le sfortune subìte dalla vita. Poi è arrivata la pandemia e tutti ci siamo scoperti fragili, ora ci vorrà un cambiamento forte e io intendo dare il mio contributo musicale in un periodo in cui siamo tutti distanti. Si percepisce ovunque un bisogno estremo di compagnia, così nel casolare, con i pochi mezzi che avevo qui, ho prodotto il videoclip di Maleducato. In ogni mio brano ho sempre l’esigenza di trasmettere un messaggio e qui voglio dire che ognuno di noi è fondamentale per la realizzazione di un mondo migliore: la vita sa essere dura, ma se resteremo uniti faremo la differenza. In questo la musica è un mezzo potente, anche da lontano permette ai nostri cuori di battere insieme in un simposio d’amore. Mi ha angosciato vedere i nostri anziani morire senza nemmeno il saluto delle persone care e mi rivolgo a chi a differenza mia è chiuso in solitudine e ha paura, ai nonni che nei notiziari di questi mesi assistono a scene sconfortanti per tutti, ai tanti giovani che ancora non comprendono il rischio.

«Maleducato non sono mai stato», rivendichi in un testo piuttosto controcorrente, incurante di passare per bravo ragazzo di famiglia colta. E chiudi con la raccomandazione di stare tutti a casa…
Oggi l’educazione, soprattutto civica, è diventata imprescindibile. All’inizio noi giovani abbiamo sottovalutato la situazione del Covid19, è vero, ma più che di maleducazione si è trattato di una vera e propria non conoscenza del pericolo da parte nostra: noi siamo cresciuti pensando che per cambiare le cose basti desiderarlo, che è sufficiente la volontà, ma non è così. Siamo la generazione che non ha conosciuto il vero sacrificio né la ricostruzione dopo una guerra, perciò siamo portati ad agire non per la comunità ma come individui. In pratica ci mancano gli anticorpi del pericolo e non ci sappiamo rapportare con esso, come invece i nostri vecchi. Però con la forza dei miei 21 anni sono convinto che questa situazione creerà una coscienza collettiva: per la prima volta da quando io vivo su questo pianeta, avremo tutti indistintamente la possibilità di essere uniti da uno stesso dolore condiviso. Avremo anche noi un racconto comune, come avviene dopo ogni guerra, e quindi la possibilità di ripartire tutti insieme, non più individui soli.

Come va la convivenza forzata con mamma, Sabrina Knaflitz, e papà Alessandro?
Ci sono i pro e i contro, ma siamo fortunati, immersi nel verde e in piena armonia. Vivendo da solo a Roma, passare di nuovo giorni e notti con la mia famiglia è una bella sensazione. E poi ho riscoperto il valore del tempo, ne ho tanto per scrivere nuove canzoni e per dare gli esami online all’università, è una dimensione inedita. Non vedo l’ora che tutto torni normale e di poter far uscire i nuovi brani che sto scrivendo, molto rappresentativi di questo strano momento: sarà un album ricco di positività, racconterà come adesso immagino che il mondo si riprenderà dopo la pandemia.

Come lo vedi questo stop globale da virus?
Con gli occhi dell’ottimismo, credo nel futuro e ho forte speranza. Quando ho scritto Maleducato mi stavo riavvicinando musicalmente al cantautorato italiano degli anni ’90, che ancora raccontava storie concrete e per questo arrivava al cuore. Penso ai grandi come De Gregori, Vasco, Jovanotti, Bennato… Poi con gli anni 2000 la musica è diventata il luogo dove fare denaro con melodie che convincono facilmente e non lasciano traccia, dicono tutto e niente. Io so di non essere ancora maturo, ma il mio obiettivo è dare spunti concreti per aiutare le persone ad alzarsi e dare il meglio per l’umanità e il nostro pianeta. In questo tragico periodo di distanza sociale vediamo per lo meno la natura che respira, gli animali che si riappropriano dei loro spazi, ma dovremo perseverare anche dopo, soprattutto in una nuova attenzione verso il prossimo: con i social siamo tutti collegati ma è una finta unione che in realtà ci tiene separati. Mi piacerebbe diventare una sorta di portavoce di questo movimento, a Roma ho amici musicisti che ci credono quanto me, ancora non si sono fatti notare ma siamo in tanti e sapremo smuovere l’animo della gente.

E da Sanremo ti sei portato a casa rapporti di vera amicizia?
Sono molto legato ad Alberto Urso, il tenore, a Tecla, Federica Abbate e altri ancora. I più eclettici sono gli Eugenio in Via Di Gioia, che portano messaggi molto veri ed esempi virtuosi da seguire. Attivissimi sui social, avevano raccolto i fondi per ripiantare a fine aprile la foresta secolare di abeti rossi in Trentino distrutta l’anno scorso dalla tempesta “Vaia”. Anche loro dovranno aspettare forse il 2021, ma sappiano che avranno un volontario in più, ci sarò anch’io… Noi giovani siamo tecnologici, ma non abbiamo scelto di vivere in un mondo che va a rotoli e devasta il pianeta, ci siamo trovati senza volerlo in mezzo a un processo di distruzione di qualcosa di meraviglioso e irripetibile, per questo abbiamo un nuovo istinto di sopravvivenza che si è attivato in noi e ci fa crescere in fretta. La notte non dormo e compongo brani che parlano di questo.

Tuo padre infatti ha detto in un’intervista che le notti sono la parte più dura della vostra convivenza forzata…
Papà scherza, però è vero che suono nelle ore piccole e, siccome gli ho insegnato a guardarsi le serie su Netflix, pretende che io abbassi il volume. Anche a mamma provo a insegnare, ma con il computer è proprio negata. Tra noi parliamo molto di come usciremo da questo periodo… Gli esperti dicono che «nulla sarà più come prima», che dovremo «abituarci a vivere con mascherine e guanti», che viaggiare sarà più difficile. Io spero nel vaccino, allora potremo tornare alla realtà, ripartendo con un nuovo rispetto della natura e senza più permettere che una pandemia possa di nuovo trovarci così impreparati. Solo allora potremo “dimenticare”, ma senza scordare nulla.