Agorà

PARETI E PAROLE. Le montagne sono gratis

Erri De Luca sabato 1 settembre 2012
​Frequento le Dolomiti da bipede e da quadrupede. Da bipede passeggio, da quadrupede scalo, aggiungendo le mani all’andatura. Ho messo le mie falangi su molti fianchi di quel calcare pallido alla luna, ruggine al tramonto. Poco meno di un secolo fa si è svolta lassù la più assurda guerra per il possesso di cime. Fu assurda e inutile: tutte le sorti si decidevano comunque in pianura. La disfatta di Caporetto travolse tutte le stentatissime conquiste di montagne. D’estate salgo al monte Lagazuoi e al dirimpettaio Sass di Stria, che sormontano i passi Falzarego e Valparola. La cima del Lagazuoi era tenuta dagli Austriaci, ma a metà parete passa una cengia, uno stretto sentiero orizzontale che l’esercito italiano occupò e tenne. Le cenge sono tipiche delle rocce sedimentarie lavorate dal mare. Si svolse così una guerra tra due piani dello stesso condominio montagna. Gli Italiani cercarono di sloggiare gli inquilini di sopra, trivellando dal basso un lungo cunicolo in salita. Non per sbucare di soppiatto in cima, invece per imbottirlo di esplosivo e far saltare in aria il presidio austriaco. Dall’alto si difesero per tempo scavando una contromina in corrispondenza di quella italiana. Questo accorgimento rendeva molto meno efficace l’esplosione. Ci fu lo stesso, ma gli Austriaci rimasero indisturbati in alto, mentre la montagna scaricava enormi blocchi di roccia a valle. Grandiosa e superflua fu quella mina insieme agli sforzi compiuti lassù dalle due parti nemiche. Oggi la lunga camera di scoppio trivellata in verticale è trasformata in un sentiero attrezzato. Un cavo di ferro corre lungo il cunicolo di roccia che sale per centinaia di metri nel buio. Ogni tanto una finestrella utile alla camera di scoppio rischiara il pozzo e offre vista sul vuoto. Si sale nella galleria a lume di lampada frontale. A me piace andare senza, procedere nel perfetto buio con il fiato che rimbomba nel cunicolo. La galleria finisce con un tratto a spirale. Si esce all’aperto tra vecchie trincee austriache, ben custodite. Era impossibile vincere o anche perdere una guerra là sopra. Le montagne restano inespugnabili ancora oggi malgrado i maledetti progressi compiuti dall’aviazione militare. La guerra talibana sui monti dell’Afganistan  ha scacciato i Russi e sta rispedendo a casa anche la coalizione della Nato. La camera di scoppio del Lagazuoi è oggi destinata a un altro sforzo inutile, quello dell’alpinista. Ma stavolta l’aggettivo «inutile» ha un valore. L’alpinismo è il bel rischio festivo, affrancato in partenza dalla partita doppia dare/avere. La sua scalata alla bellezza è gratuita. Un navigatore arrivava per primo su un’isola, ci piantava la sua bandiera e l’annetteva al suo Paese. L’alpinista che arriva per primo su una cima vergine, non esercita alcun possesso e la bandiera che lascia tiene compagnia al vento. Angelo Di Bona, leggendaria guida alpina di Cortina del primo 1900, viene convocato dal comando italiano che ha appena occupato la città. Gli viene chiesto di scalare la Tofana di Rozes per scacciare dalla cima il reparto austriaco. Di Bona si rifiuta, lassù ci sono i suoi amici. Viene perciò arrestato. Lassù ci sono i suoi amici: la guerra che infila casacche diverse alle varie gioventù può governare il fondovalle, non le cime. Lassù non ci sono nemici. I cartografi possono ben tracciare confini lungo le dorsali montuose, stabilire che un versante appartiene a una nazione e un versante a un’altra. L’alpinista che la scala dai due lati dimostra che una montagna unisce e non separa i popoli. Sulla cima calpesta la presuntuosa linea di demarcazione. Sia la guerra che l’alpinismo sono applicazioni opposte dell’ingegnosa mente umana. La fanteria alpina, oggi in gran parte smantellata, contiene la contraddizione tra la fraternità montanara e l’obbedienza alla regola di guerra. È stata per questo un corpo a parte dove i gradi della gerarchia erano meno separati dalla truppa, condividendo le medesime asprezze. Mio padre, napoletano arruolato nella seconda guerra mondiale col grado di sottufficiale degli Alpini, raggiunse la destinazione in montagna. Appena arrivato, gli fu assegnato dal tenente uno strano incarico: vegliare quella notte la mula che stava per partorire. Si sa che Alpini e muli hanno vissuto in simbiosi. Mio padre arrossisce, dice «Signorsì», poi aggiunge: «La ringrazio dell’onore di farmi assistere al miracolo». Il tenente sorride e gli dà il benvenuto. I muli sono incroci sterili. Di tutto quel tempo maledetto della sua gioventù, mio padre ha salvato una sua gratitudine per le montagne. Me l’ha trasmessa in eredità. Lassù i nostri sforzi rimangono felicemente inutili.