Agorà

EST EUROPA. Lech Walesa: «Oggi serve una nuova Solidarnosc»​

Lech Walesa giovedì 29 agosto 2013
Ogni volta che mi viene rivolta la domanda su chi abbia fatto cadere il comunismo nell’Europa dell’Est sono solito rispondere che il merito va per oltre il 50% a Giovanni Paolo II, per il 30% a Solidarnosc e per il resto a Reagan, Kohl, Gorbaciov. Ma devo dire che il merito va anche a molti giornalisti, al loro grande lavoro d’informazione senza il quale noi non saremmo riusciti a vincere il monopolio della menzogna cui eravamo sottoposti.
La filosofia dei regimi comunisti era quella d’impedire di organizzarci, negando la nostra esistenza, continuando a umiliarci e a mentire. I giornalisti stranieri hanno fatto il contrario, presentando le cose come stavano, raccontando la verità dei fatti, mettendoci sotto una lente d’ingrandimento che esaltava la nostra forza e le nostre capacità. Fra costoro non posso dimenticare Luigi Geninazzi, reporter italiano che ha seguito il nostro movimento fin dall’inizio con grande attenzione e passione. La propaganda del regime è stata sconfitta dalla testimonianza diretta di chi si trovava sul posto e riferiva quel che vedeva coi propri occhi. In fondo era una cosa molto semplice, mentre il potere cercava di confondere le cose. Solidarnosc è nata da un’intuizione: se non puoi sollevare un peso da solo cerca qualcuno che ti aiuti. A quel tempo il comunismo era un peso troppo grande che nessuno riusciva a scrollarsi di dosso.
Negli anni ’50 qualcuno ci ha provato con le armi ma ha perso la vita per manifesta inferiorità. Negli anni ’60 e ’70 in Polonia abbiamo cercato di uscire nelle strade per far sentire la nostra protesta ma ci hanno zittiti con la forza. Abbiamo cercato varie soluzioni, abbiamo chiesto consiglio ai politici e agli intellettuali d’Occidente. Ma nessuno di loro credeva che sarebbe stato possibile il crollo dell’Impero sovietico. Poi è arrivato il nostro Papa, il Papa polacco, e abbiamo scoperto che c’è qualcosa di più forte dei carri armati e dei missili atomici. Giovanni Paolo II ha fatto appello alle risorse spirituali e alla fede del nostro popolo e ci ha invitato a non avere paura. Nel 1979 è tornato in Polonia e per la prima volta ci siamo ritrovati uniti, ci siamo accorti di quanto eravamo numerosi. Mi sono chiesto spesso come mai ogni volta che organizzavo uno sciopero nei cantieri navali di Danzica mi ritrovavo attorno non più di dieci persone e poi, all’improvviso, nel 1980 furono 10 milioni di persone. Io facevo sempre le stesse cose, gli stessi discorsi. Ma la gente era cambiata, era diventata più cosciente, più matura, più determinata. E i primi a meravigliarsi di questo cambiamento sono stati i comunisti: non sapevano più come reagire, a un certo punto si sono rassegnati a dialogare con noi e alla fine hanno dovuto cedere il potere.
La nostra lotta pacifica e dignitosa ha abbattuto dittature che sembravano invincibili, ha distrutto muri e barriere nel segno della libertà e della fratellanza fra i popoli. La rivoluzione di Solidarnosc in Polonia, seguita da quella dei movimenti d’opposizione negli altri Paesi dell’Est, ha chiuso un’epoca segnata dalla violenza, dall’odio e dalle divisioni. La mia generazione ha realizzato quel che a mio padre e ai miei antenati era del tutto inimmaginabile: un’Europa senza frontiere in un mondo sempre più globalizzato. Sulle rovine del comunismo è nato un capitalismo di tipo nuovo, totalizzante e aggressivo. C i sono domande che non hanno ancora trovato risposte: e possibile un’economia di libero mercato che non sia sinonimo di egoismo e ingiustizia sociale? Che senso dare alla parola democrazia in un mondo dove i singoli Stati perdono progressivamente competenze e sovranità? E soprattutto: su quali fondamenti costruire una nuova economia e una nuova democrazia? Chi, come me, è stato un attivista negli anni passati non ha soluzioni immediate da dare per il futuro. Ma ritengo che il principio della solidarietà che ci ha permesso di distruggere il vecchio mondo oppressivo e ingiusto del comunismo sia decisivo anche per costruire un nuovo mondo più libero e più giusto.
L’apertura sempre più grande e l’assenza delle frontiere esigono una “Solidarnosc globale” [...]. I problemi che abbiamo davanti non potranno venir affidati alla solita commissione di esperti ma dovranno coinvolgere l’opinione pubblica di tanti Paesi e avranno bisogno di idee forti e di principi morali. Solidarnosc ce lo ha insegnato.