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Musica. Le geometrie di Lorenzo Palmeri: il mio pop è design

Massimo Iondini domenica 20 febbraio 2022

Il musicista e architetto milanese Lorenzo Palmeri: il suo nuovo album s'intitola “4 (Crediti cosmici dance floor)”

«La legge di ogni progetto architettonico e anche musicale, che è architettura sonora, è che non può esistere senza un limite. Ed è proprio il limite la sorgente dell’immaginazione ». Più che una certezza, è una evidenza empirica quella a cui si informano pensiero e azione artistica di Lorenzo Palmeri. In lui architettura, design e musica convivono simmetricamente, si direbbe, visto che di misure si tratta. «È proprio dalla possibilità di lambire e superare la percezione del limite che connota l’umano, che sgorga l’immaginazione che si fa arte – spiega il poliedrico artista milanese –. E il nostro limite maggiore è l’Ego, indispensabile punto di partenza ma purtroppo per molti anche di arrivo». Concetti decisivi per ciascuno e, a cascata, per la società intera che Palmeri spalma nel suo ultimo album 4 (Crediti cosmici dance floor), distribuito in digitale da iMusician Digital, e condensa soprattutto nel brano Tutte le strade del mondo, il secondo singolo uscito. Dieci brani in cui si respirano quotidianità e infinito, con sonorità che spaziano tra differenti generi incorniciando la multiforme creatività del musicista e designer.

«Tutte le strade del mondo cominciano da noi – spiega Palmeri – ma bisogna stare attenti all’Ego che prevarica ogni altra espressione della nostra persona per mettersi al centro di tutto. Dal nostro Io comunque noi partiamo, è il nostro primo mattoncino. Ecco, la canzone parla proprio della centralità che abbiamo nella possibile apertura di qualsiasi strada, nel modo di rispondere alla vita, nel scegliere come volerla vedere. Così ci sono persone che vivono esperienza tremende e ne escono serene, altre che si trovano in situazione agevoli e finiscono distrutte. La pandemia ci ha messi ulteriormente alla prova, come singoli e come collettività».

E dalla pandemia è nato il primo singolo, Ghost in translation, citazione del film di Sofia Coppola Lost in translation del 2003. «Quel senso di straniamento che prova il protagonista, l’attore in declino Bob Harris (interpretato da Bill Murray, ndr), lo trovo assimilabile a ciò che ho e abbiamo vissuto nel lockdown. Quando è arrivato il Covid ciò che avevo realizzato per il disco mi sembrava tutto fuori giri, come se fosse stato stato scritto in un tempo lontano e inattuale. Così ci ho rimesso mano, ho tolto brani e rimaneggiato altri e lì è nata questa canzone che parla della “magnetizzazione” che abbiamo vissuto in quel periodo. Il lato positivo è avere in parte provato il sapore di una vita diversa, lasciandoci dei segni trasformativi. Anche la musica del brano è un po’ sghemba, a rimarcare senso di straniamento da una parte e diversa presa di coscienza dall’altra».

Un certo senso di straniamento di sicuro emana dal titolo stesso dell’album. «Volevo dare questo titolo già al mio primo disco – spiega Palmeri –, ma ho aspettato il quarto. Il numero 4 in tante tradizioni e culture ancestrali era il simbolo del nostro passaggio sulla terra. E il quadrato è il suo riferimento simbolico, rappresenta qualcosa di circoscritto, uno spazio dentro cui viviamo noi limitati esseri umani. Il sottotitolo, “Crediti cosmici dance floor”, fa invece riferimento alla percezione che abbiamo della nostra vita, per dire che è su questo piano terreno che si danza e si gioca la nostra esistenza. Sono molto attento ai titoli, possono racchiudere in poche parole il senso di un progetto più ampio».

Vastità evocata comunque dalle misteriose geometrie che le sue due passioni sembrano condividere e unire. «Musica e architettura vanno a braccetto, entrambe sono costruzioni con delle leggi in comune: il ritmo, la pausa, il pieno e il vuoto – spiega Palmeri –. Naturalmente ho iniziato con la musica, trovando in casa una tastiera elettrica. Un giorno l’ho finalmente notata e ho cominciato a giocarci. Avevo 8 anni, a 12 ho iniziato a studiare pianoforte e a 16 composizione. A 19 mi iscrivevo ad architettura all’università. I miei modelli sono così diventati anche i creativi delle forme architettoniche (Munari e Le Corbuisier su tutti) che si sono aggiunti ad altri artisti che mescolano sonorità e figure musicali un po’ sghembe come Philip Glass, Brian Eno, Damon Albarn, David Byrne e, ovviamente, Franco Battiato».

Un’amicizia nata per caso o per destino, tra musica e meditazione. «Avevo un gruppo sperimentale di musica elettronica, Franco era venuto a saperlo e mi ha chiesto di accompagnare una mostra di quadri a Milano. Lavori suoi e di Gabriele Mandel, il suo maestro di sufismo. Da Battiato ho imparato che di ogni istante di vita non c’è mai nulla da buttare via. Anch’io ambisco a comprendere davvero questa essenziale verità».