Agorà

La via del samaritano / 2. La gratuità fa essere vicini ai «malati» che chiedono aiuto per essere guariti

Roberto I. Zanini sabato 11 febbraio 2012
Il paradosso dei poveri. Sarebbe stato forse questo il titolo più adatto all’in­contro su 'Gesù e i poveri' che ieri ha visto come protagonisti, guidati dallo storico Adriano Roccucci, della Comu­nità di Sant’Egidio, il vescovo di Oristano monsignor Ignazio Sanna, il biblista del­la Facoltà teologica della Catalogna Ar­mand Puig Tarrech e Cariosa Kilcom­mons, delle Comunità dell’Arca fondate da Jean Vanier. Il paradosso della povertà che esclude dalla vita sociale e che tutta­via avvicina a Cri­sto. Paradosso dai mille volti, perché non è povero solo colui che ha poco o niente per sosten­tarsi, ma sono po­veri tutti coloro ai quali manca qual­cosa per vivere pie­namente la loro u­manità. Sono pove­ri coloro che si sen­tono o sono isolati, che sono esclusi dalla vita sociale o che si sentono e­sclusi dalla vita re­ligiosa, hanno det­to Puig Tarrech e monsignor Sanna, «come i divorziati e i separati che dormono nelle macchine o sono tornati a dormire nella casa dei vecchi genitori», sono poveri i peccatori così come gli am­malati, quelli del corpo e quelli dello spi­rito. Il pubblicano e la prostituta, il para­litico come l’indemoniato, per dirla con Gesù. Siamo poveri tutti noi che, ha sot­tolineato Kilcommons, «non siamo ca­paci di chinarci su coloro che hanno bi­sogno perché non riusciamo prima a ve­dere le nostre povertà, le nostre debolez­ze ». Gesù è venuto per tutti loro, anzi, per tutti noi. «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma gli ammalati». Per questo «i poveri sono tutti coloro che hanno l’umiltà di chiedere di essere gua­riti », ha ribadito Puig Tarrech. «Non è un caso che questa sia proprio la prima del­le beatitudini: beati i poveri in spirito. E di loro Gesù dice che possiedono il Re­gno di Dio. Di nessun altro Gesù dice che il Regno gli appartiene». Ed ecco l’enne­simo paradosso reso possibile da Gesù: la povertà che si trasforma in ricchezza. Un concetto che, ha spiegato Sanna, non ha niente di ideologico. Di per se stessa la povertà è un male che deve essere com­battuto. Non ci si salva solo per il fatto di essere poveri, così come non ci si perde solo perché si è ricchi. Così come non si trasforma in ricchezza la povertà dello stoico o del seguace di religioni orientali che si fa povero per concentrarsi meglio su se stesso, evitando gli oneri e i pensieri della vita. La ricchezza della povertà è nell’umiltà dell’affidamento, nella gene­rosità con cui si vive la propria condizio­ne. A questo proposito Puig Tarrech ri­corda che Gesù in­dica come esempio ai suoi discepoli la povera vedova che offre in elemosina tutto quello che ha. Tre soldi che, ag­giunge il biblista, sembrano contra­stare con i trecento denari di oli profu­mati versati da Ma­ria sul capo di Ge­sù a Betania. «Un gesto che Gesù ap­prezza somma­mente, ma che nei discepoli crea scandalo perché non riescono a comprenderne la gratuità», che si ri­vela tanto nel dare quanto nel ricevere. Nel libro di Tobia, annota Puig Tarrech, si invita a non disto­gliere lo sguardo dal povero perché in questo modo non si distoglierà mai lo sguardo da Dio. Nel Vangelo Gesù dice che «tutto quello che avrete fatto a questi fratelli più piccoli lo avrete fatto a me». «Dio si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà», ha sottolineato monsi­gnor Sanna citando Benedetto XVI. Per questo il diacono Lorenzo prima del martirio poteva dire che «il tesoro della Chiesa sono i poveri». Per questo il mira­colo della moltiplicazione dei pani è l’u­nico che nei Vangeli si ripete sei volte: l’abbondanza viene dalla condivisione del poco con tanti. La grande ricchezza dei poveri è quella di farci sentire ricchi. «L’ho scoperto – raccontato Kilcommons – lavorando con i disabili: Gesù ci invita a essere amici dei poveri perché attraverso la condivisione con loro ci viene rivelata la bellezza che è in noi».