Agorà

INTERVISTA. La «terza via» inglese parla cristiano

Silvia Guzzetti sabato 9 aprile 2011
La stampa britannica l’ha soprannominato il «re filosofo» di David Cameron, il guru al quale il primo ministro deve la sua ideologia di Big society, ma Phillip Blond sostiene che la sua proposta andava oltre la divisione fra destra e sinistra. «Ci troviamo nel mezzo di un cambiamento di paradigma – dice –, assistiamo alla fine del progetto neoliberale come trent’anni fa abbiamo visto la fine delle teorie keynesiane». Quello che seguirà, spera l’ideologo di Cameron, sarà un nuovo conservatorismo comunitario e civico. Anglicano praticante e seguace del movimento di ortodossia radicale, che vuole riportare il cristianesimo dentro la società britannica, troppo individualista e secolarizzata, Blond è un grande ammiratore di Chesterton e Belloc e nel suo pensiero si respira la dottrina sociale cattolica, della quale si dice grande ammiratore: «Penso che il protestantesimo abbia reso la religione un fatto privato da vivere individualmente e che ciò abbia avuto un effetto negativo sulla nostra società». Nel suo volume-manifesto Red Tory, pubblicato nei mesi scorsi, questo ex professore di filosofia e teologia dell’Università di Lancaster sostiene che la destra, con la fede cieca nel libero mercato, e la sinistra, con la promozione del welfare come soluzione a tutti i mali sociali, hanno finito per minare la società britannica. Divisa tra una minoranza molto ricca e una sottoclasse che non riesce a uscire dalla trappola dei sussidi di Stato. Oggi soltanto il 30% dei cittadini britannici ha fiducia negli altri e nella società, a paragone del 56% del 1959, uno dei tassi più bassi in Europa. Professor Blond, il Times ha ripreso un articolo nel quale lei esprime dubbi sul fatto che la proposta della "Big society" (sostenuta da Cameron), cioè una società dove il ruolo dello Stato viene ridotto a favore della società civile, possa realizzarsi, perché i tagli fatti in queste settimane dal governo rischiano di impedirlo…«Il ministero del Tesoro e delle Finanze non è abbastanza innovativo nella sua politica economica da pensare alla riduzione del deficit come a una possibilità per introdurre la sussidiarietà e dare un nuovo ruolo ai cittadini. In realtà le due cose – i tagli che sono necessari per ridurre l’inefficienza e una maggiore partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica – potrebbero sincronizzarsi, ma in questo momento non succede».Perché? E cosa ne pensa?«Penso che questo progetto non sia ancora stato accettato da tutti i settori del governo e alcuni non lo approvano ancora; il che mi preoccupa. Ma penso anche che la "Big Society" abbia un forte impatto e continuerà a diffondersi».In che cosa consiste esattamente quest’idea, che giornalisti inglesi hanno definito troppo vaga?«La "Big Society" non consiste soltanto nel volontariato, come banalmente è stato detto, ma nell’idea che i servizi che vengono gestiti dallo Stato possano essere organizzati con meno costi e maggiore efficienza da associazioni, centri, charities gestite dai cittadini. È la rottura della concentrazione di potere nello Stato e nell’economia per ridistribuire il capitale e le capacità nella nostra società, così da generare tanti centri di ricchezza, innovazione e proprietà. Esistono molti costi legati alla burocrazia che possono essere tagliati. Lo Stato tassa troppo ed è troppo inefficiente».Può fare un esempio pratico di come la "Big Society" può sostituire lo Stato?«Il Sandwell Community Caring Trust, nel nord dell’Inghilterra: una charity che si occupava di assistere portatori di handicap e anziani a casa loro e in strutture d’accoglienza e che nel 1997 ha assorbito diversi ruoli svolti fin allora dall’autorità locale. I costi di amministrazione sono calati enormemente: in passato la cura degli anziani costava all’autorità locale 657 sterline a persona per settimana; la nuova gestione ha ridotto il costo a 328 sterline e gli anziani sono più contenti di prima. Un altro esempio è il progetto di Charlie Elphicke per far gestire il porto di Dover a un trust controllato dagli abitanti anziché privatizzarlo».Lei è un anglicano praticante. Quanto è importante la religione nella sua vita? «È molto importante nello spingermi a combattere le ingiustizie sociali e in particolare le condizioni di quella sottoclasse che, nel Regno Unito, dipende dai sussidi dello Stato per vivere e non ha possibilità di lavoro e di migliorare la propria condizione».Ritiene che anche le Chiese rivestano un ruolo importante nel progetto della «Big Society»?«Sì, certamente. Penso che le Chiese non debbano essere estranee alla sfera pubblica, anzi che possano e debbano indicare ai cittadini come si può vivere una vita buona in tutti i settori dell’esistenza».Eppure nella società britannica di oggi è in un atto uno scontro tra i valori religiosi e quelli del politicamente corretto, che vogliono confinare le Chiese in un ambito privato.«È vero, ma questo non significa che la religione non sia importante. In un recente sondaggio il 70% degli inglesi ha detto di essere credente. E a livello globale la religione è in aumento in tutto il mondo».