Agorà

Storie di cuoio. La solitudine del portiere goleador

Massimiliano Castellani venerdì 13 marzo 2015
Questo viaggio della memoria di cuoio, comincia in Costa d’Avorio e finisce a Carate Brianza, nell’area piccola dei portieri-goleador, anzi rigoristi.Si tratta di Boubacar Barry e di Antonio Rigamonti, le cui imprese sono uniche, divise solo dal tempo in cui si sono consumate, casualmente. «Ma Dio non fa mai nulla per caso...», è stato il primo commento del portiere della Costa d’Avorio, Boubacar Barry Copa, in lacrime, mentre alzava al cielo la Coppa d’Africa 2015. Dopo 23 anni di inutili assalti a quel trofeo, l’8 febbraio scorso, gli “Elefanti” hanno finalmente messo le mani su un titolo che per il calcio ivoriano stava diventando una chimera. E il gol vincente, non lo ha firmato una delle sue potenti stelle nere: Drogba, Gervinho o Yaya Tourè, ma il portiere, per giunta di riserva. Dopo 3 Mondiali e 6 Coppa d’Africa, il 35enne Barry aveva lasciato il posto a Sylvain Gbohouo, classe 1988, dieci centimetri più alto e 13 chili in meno, ma questi infortunandosi nella semifinale ha riaperto la porta al suo “guru”.All’Estadio de Bata (Guinea Equatoriale) è stata una scena da film western l’ultimo atto della finale con il Ghana. Nell’infinita lotteria dei rigori, (sull’8-8) va sul dischetto il portiere ghanese Brimah Razak: calcia e Barry para. Dalla sua porta “Barry Copa”, accompagnato idealmente dal sottofondo de “Il buono, il brutto e il cattivo” di Morricone, si avvicina lentamente alla lunetta di gesso degli undici metri, calcia sull’angolo sinistro e trafigge Razak per il gol del 9-8. Partita, Coppa ed encomio del presidente della Repubblica della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara, che, assieme al suo popolo, nomina il vecchio Barry «eroe nazionale». A Carate Brianza questa storia è rimbalzata fino alla porta, di casa, di Antonio Rigamonti, classe 1949: ad oggi, il portiere italiano che ha segnato di più in carriera, 6 gol. Una rete in più di Lucidio Sentimenti, il “IV” della gloriosa dinastia di calciatori di Bomporto. Come Sentimenti IV fu capace di trasformare un rigore al fratello Arnaldo, Sentimenti II. («Era imbattuto, ne aveva parati 9 di fila prima del mio gol», ricordava Lucidio ad Avvenire), Rigamonti riuscì a segnarne uno al suo idolo, poi compagno nel Milan, Ricky Albertosi. Ma prima di mettere su il baffo albertosiano e arrivare a Milanello (nel ’76), l’Antonio ne aveva fatta di gavetta e si era sciroppato anche parecchia panchina. Il primo rigore lo calcia a 15 anni: finale del Torneo Marchesi di Monza. «Era l’ultimo della serie, tiro e sbaglio. Vedo i ragazzi della squadra avversaria che alzano la Coppa e io con le mani tra i capelli che mi vergogno come un ladro di fronte ai miei compagni. Un dramma, pensa “tè”...». Ma quell’adolescente dal fisico importante («ero 185cm per 62 kg») aveva lasciato il segno nei dirigenti del Varedo. «L’Arienti disse: “Ches chi el ciapum num”, questo lo prendiamo noi. A 16 anni alla Lilion Snia divento il titolare della juniores e dopo poco debutto in prima squadra». È il trampolino di lancio per l’Atalanta dove lo accoglie il “leone di Higbury”, Carletto Ceresoli: «Al primo allenamento mi fa: “Ocio, venire contro di me è come fare pipì contro vento”. Ho vent’anni e faccio il secondo di De Rossi. Qualche presenza nel girone di ritorno, ma rischiammo di retrocedere in C così l’anno dopo presero Anzolin dalla Juve e il posto da titolare fu suo». Passa alla Cremonese, poi nel Como del filosofo della zona mista, Pippo Marchioro, che lo nomina rigorista ufficiale. «Marchioro stravedeva per me. Sapevo giocare con i piedi, ma soprattutto leggevo in anticipo lo sviluppo dell’azione. Non per vantarmi, ma nel calcio d’oggi ci starei dentro alla grande».Nel calcio di ieri, oltre a stare in porta a un certo punto si mise anche a tirare i rigori. «Eravamo in B - stagione 1974-’75 - e in quel periodo sbagliammo diverse volte dal dischetto, così a turno ci esercitavamo un po’ tutti. La buttavo dentro spesso e allora Marchioro mi disse: “Domenica se ci danno un rigore lo tiri tu, intesi?”. Sembrava uno scherzo, ma il turno seguente a Novara, nei minuti finali l’arbitro fischia il rigore... Nessuno dei miei compagni si muove, dalla panchina vedo Marchioro che si sbraccia e urla: “Oh, Rigamonti cosa aspetti? Vai no...”. Vado, tiro e faccio gol. Quell’anno ne segno altri due: al Parma e al Perugia». Anche grazie a quelle tre reti del portiere-goleador il Como torna in Serie A e Rigamonti ci prende gusto: altri 3 li piazza nella massima serie. «Faccio gol al Bologna e al Verona. Ma memorabile fu quello al Milan a San Siro. Andai sul dischetto dolorante per uno strappo muscolare, davanti avevo un fenomeno, il vicecampione del mondo Ricky Albertosi». Tiro, rete. «Alla fine della partita Ricky si avvicina e mi dice: “Dai che quasi te lo prendevo”. Poi diventai il suo vice, in maglia gialla. Albertosi mi insegnò la “regola n.1”: “Se prendi gol, ricorda, la colpa è sempre della difesa, mai del portiere”». Luci basse a San Siro per il baffo alla Clouseau su quel volto scavato dell’Antoine. Era il tempo della solitudine del portiere goleador, relegato nuovamente in panchina fino allo scandalo del calcioscommesse dell’80 che portò il vecchio Albertosi a varcare un’altra porta, quella del carcere di Regina Coeli. «Brutta storia. Preferisco ricordare i bei momenti. Lo scudetto della stella del ’79 con Liedholm, le partite a carte con Ricky, Calloni e il mio caro amico Anquilletti che da poco se ne è andato via per sempre. Mi chiamava “Ortica” perché al tavolo verde al momento del rilancio una volta vedendo il piatto vuoto mi scappò: ueh ragazzi, mettiamo su un po’ d’ortica?». Formidabili quegli anni, terminati con il ritorno alla solita storia: stop al portiere goleador. «Quando Copparoni a Cagliari mi parò il rigore capii che era il momento di piantarla lì. Ai miei allievi del Desio dico sempre che un portiere deve fare la sua parte, ma tra i pali. Da quando ho smesso ho giocato un paio di volte, l’ultima è stata con Bigon e Sartori che a fine partita mi fa: “Antonio, ma lo sai che sei meglio adesso di quando eri giovane e tiravi i rigori...”».