Agorà

IDEE. La rivoluzione della carità

Roberto I. Zanini martedì 10 aprile 2012
«Non c’è un’altra istituzione nella storia dell’umanità che abbia avuto così tanta gente capace di lavorare, di donare e di spendersi gratuitamente per il prossimo, rendendo, fra tante guerre, carestie, violenze ed epidemie le nostre società un po’ più felici». Juan Maria Laboa, spagnolo, ordinario di Storia della Chiesa presso l’Università Comillas di Madrid, lo sottolinea con una convinzione che non viene semplicemente dagli studi, ma si nutre dell’esperienza. Per questo, dopo tanti manuali sulla storia della Chiesa ne ha voluto scrivere uno sulla storia della Carità. Uscito in questi giorni in Italia per la Jaca Book, col titolo Dai loro frutti li riconoscerete (pp. 320, euro 24) è un efficace percorso nella storia della Chiesa che lascia per una volta da parte Papi e cardinali per raccontare come, attraverso milioni di persone sconosciute e migliaia di santi, la «relazione d’amore fra Dio e gli uomini sia stata capace di incidere sul mondo». Ogni anno, nella settimana santa, Laboa percorre a piedi con un gruppo di amici un pezzo del Camino di Santiago. Lo troviamo di ritorno a Madrid dopo aver fatto i circa 150 chilometri che separano Burgo Ranero da Rabanal del Camino.Nel suo libro il pellegrinaggio emerge un po’ come il cuore dell’Europa edificata sulla carità.«I pellegrini non hanno classe sociale, non hanno lo stesso grado di fede, sono animati da motivazioni diverse fra loro. Per secoli prima di partire si faceva testamento perché il viaggio era lungo e insidioso. La Chiesa ha capito e si è messa al servizio. Sul Camino sono nati ospedali, abbazie, ricoveri di tutti i tipi. Grandi maestri di spiritualità come San Lesmes si dedicavano alla cura delle anime, altri come Santo Domingo de la Calzada hanno costruito ospedali. Nei villaggi tanta gente faceva accoglienza. Un’organizzazione caritatevole imponente ed efficace, che da 50 anni a questa parte sta tornando quella di un tempo».Il Camino di Santiago è nuovamente una fucina di carità? «È bellissimo parlare con i pellegrini e con la gente che li accoglie. Ci si immerge nelle radici del cristianesimo, nella vita stessa di Cristo. E non c’è paese, non c’è parrocchia che non abbia un centro di accoglienza gratuito. A Burgo Ranero tre benedettini hanno fondato una piccola comunità solo per accogliere i pellegrini e assisterli spiritualmente». Accoglienza intesa come carità. «L’accoglienza è una caratteristica essenziale della carità. In tante religioni c’è l’obbligo di dare denaro ai poveri, ma accogliere, cioè donare i propri spazi, donare se stessi per l’altro è molto di più. Questa è carità. E sul Camino assume caratteristiche particolari. Roma e Gerusalemme hanno un enorme valore intrinseco per il pellegrino. Santiago è importante soprattutto per la fatica del Camino e la carità si è esplicata nei secoli lungo le centinaia di chilometri percorsi dai pellegrini molto più che sulle altre direttrici di pellegrinaggio».Vengono in mente i monaci irlandesi che nei primi secoli dell’era cristiana vivono la peregrinazione come vocazione. «Proprio così. Sono i primi a interpretare anche fisicamente la vita di fede come un cammino verso Cristo: attraversano villaggi, pregano, predicano, aiutano i poveri, assistono i malati. Questa è la carità propriamente intesa ed è una novità totalmente cristiana: è l’amore di Dio per me che diventa amore per i fratelli». Nella vita della Chiesa come si traduce? «Nell’attuazione di questa diversità nella relazione con le persone, nella gestione delle cose e del potere secondo le massime evangeliche che invitano a servire e non a essere serviti e che ricordano come il cristiano non appartenga al mondo e non ragioni come il mondo. La straordinaria storia della carità nella Chiesa è esattamente questo. E il Camino di Santiago mostra, oggi, che c’è tantissima gente che ama i fratelli perché sa di essere amata da Dio. È questa la gente che migliora la vita nei luoghi dove vive. In Spagna, per esempio, la Caritas assiste ogni anno 800 mila persone gratuitamente. Non c’è altra istituzione capace di fare altrettanto. E questo, nei secoli, in ogni luogo dove sia presente la Chiesa: una immensa e misconosciuta storia di generosità e abnegazione». Il suo libro è denso di microstorie di carità. «Per esempio Pedro Nolasco, il fon­datore dei Mercedari. Nel XIII seco­lo si preoccupa di riscattare i tanti cristiani rapiti dai musulmani per essere venduti nei mercati africani. I suoi religiosi raccolgono denaro, vanno per comprare lo schiavo e tante volte si offrono in cambio. È la creatività della carità che si espri­me fino al martirio». In epoca moderna le grandi apparizioni mariane sono un veicolo di Carità? «L’esperienza di Lourdes è emblematica. È il luogo dove si concentra più dolore al mondo e allo stesso tempo dove c’è tanta gente che va lì solo per servire chi soffre. Tanto dolore e tanto amore insieme. Emile Zolà, che non era credente, racconta in un libro il suo stupore per aver scoperto questa cosa a Lourdes. Un po’ come Giuliano l’Apostata, che dopo aver ripristinato il paganesimo nell’impero romano e fatto ripartire la macchina della persecuzione contro i cristiani, raccomanda in una missiva al gran sacerdote pagano di non avere alcuna pietà per i 'galilei', ma di imitare le loro opere di carità, che tanto bene facevano anche fra i pagani».