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Caterina De' Medici. La regina tenebrosa che inventò il gelato

Franco Cardini domenica 9 agosto 2015
Oggi Caterina de’ Medici, regina di Francia, è molto conosciuta per due motivi che vanno di moda: la gastronomia e la magia. Le si attribuisce – o comunque si attribuisce ai cuochi fiorentini ch’essa si portò dietro a Parigi – l’invenzione sia dei dolcetti rotondi dei quali i francesi vanno matti, i macarons, sia del gelato, che ha notoriamente conquistato il mondo. Essa è inoltre conosciuta per la sua passione per l’astrologia e le profezie: era risaputo che accanto a lei stava costantemente un ambiguo fiorentino dei poteri del quale si sussurravano meraviglie, Cosimo Ruggeri, per non parlare dei suoi rapporti con il «mago» Michel de Notre-Dame, più conosciuto con lo pseudonimo di Nostradamus, l’autore delle enigmatiche Terzine che secondo alcune conterrebbero infallibili ancorché non troppo comprensibili profezie. È ben nota anche la sua silhouette che, per la verità di solito un po’ troppo abbellita, è comparsa più volte in film e sceneggiati storici sul grande e sul piccolo schermo: accigliata, misteriosa, sempre nerovestita in omaggio a quella che era la moda del suo tempo, il maturo Cinquecento, ma anche in quanto perpetuamente abbigliata a lutto dopo la morte incidentale di suo marito Enrico II durante un torneo. E sì che il suo regale consorte l’aveva a lungo e pubblicamente cornificata: tutti conoscono la sua passione per l’affascinante Diana di Poitiers. In realtà le vicende storiche di Caterina, nata a Firenze nel 1519 e figlia di colui che allora ne era il signore, Lorenzo duca di Urbino (figlio di Piero, nato a sua volta da Lorenzo detto «il Magnifico» e fratello di quel Giovanni che sarebbe divenuto papa Leone X) non furono mai né troppo felici, né troppo facili. Sua madre, Madeleine de la Tour d’Auvergne, morì poco dopo il parto; e nemmeno il padre le sopravvisse a lungo. Caterina era il frutto di un matrimonio politico imposto dal prozio papa per rafforzare i rapporti tra casa Medici e corona di Francia: che tuttavia condussero a un’infelice alleanza politica tra papa Clemente VII (un altro Medici!) e Francesco I di Francia, quindi alla cacciata del potente casato dalla città del giglio e al suo ritorno, nel 1530, sotto l’egida dell’imperatore Carlo V. Il nuovo protettore della dinastia la insignì addirittura di un titolo feudale: da allora i Medici sarebbero stati duchi di Firenze, quindi garanti ereditari della fedeltà di Firenze all’impero al di là del gradimento o meno dei fiorentini. Ma il re di Francia, insieme con il papa, continuava a guardare a Firenze come a una potenza amica da non perdere: e fu così che venne organizzato, nel 1533, il matrimonio politico tra Caterina e il terzogenito del monarca, Enrico duca di Orléans, certo non destinato tuttavia al trono. Invece caso volle che lo sfavorito cadetto divenisse, con la morte di chi avrebbe avuto diritto all’eredità regale, a sua volta re; e Caterina quindi regina. Fu un regno triste il suo, così messa nell’angolo da un marito che la disprezzava, la trascurava e l’umiliava preferendole la prestigiosa amante Diana di Poitiers. Ma Enrico II nel 1559 morì in seguito alla ferite riportate durante un torneo: e Caterina si trovò reggente e quindi regina- madre durante il regno di ben tre suoi figli, che dovettero convivere con l’intrigante e violenta alta nobiltà dei Guisa e dei Borbone e affrontare le conseguenze della Riforma protestante sotto forma di lotta accanita tra cattolici e «ugonotti», cioè calvinisti. Sulla regina, che stava ormai invecchiando, si allunga l’ombra della corresponsabilità della triste «Notte di San Bartolomeo», il 24 agosto 1572, che del resto non fu per nulla l’unico massacro di quel conflitto che annoverò carnefici e vittime da entrambe le parti. A questa cupa eppur a modo suo affascinante protagonista del sanguigno Cinquecento europeo, la giornalista e scrittrice umoristico-satirica Lia Celi e lo studioso di storia militare Andrea Santangelo hanno dedicato una biografia, Caterina la Magnifica (Utet, pp. 233, euro 14) che definire sui generis sarebbe senza dubbio eufemistico. Un libro nato da ricerche accurate e letture erudite, dal quale tuttavia relativamente poco, e in modo alquanto rapsodico, si apprende a proposito della vita e della personalità della protagonista. In cambio abbondano le pagine in cui si parla di gastronomia, di astrologia e magia, di curiosità sessuali e di questioni militari e artistiche: e ne esce un profilo del Rinascimento europeo che i non esperti del periodo troveranno nuovo e originale. Certo, non si tratta di un lavoro che incontrerà il favore dei lettori eruditi, degli amanti della divulgazione storica che però ama porre il lettore in qualche modo a contatto diretto con la problematica e la metodologia. Per leggerlo e trarne profitto – ed è possibile farlo – bisogna avere una qualche conoscenza specifica: allora ci si diverte e si perdonano volentieri le forse un po’ troppo insistite «impertinenze» degli autori, i loro calembour stalvolta un po’ troppo goliardici, le loro continue digressioni. Chissà, potrebb’essere un modo «postmoderno » di riproporre la storia, ora che la materia gode scarso favore nelle università e qualcuno ricorda i tempi felici in cui i libri di Antonio Spinosa o di Arrigo Petacco – i campioni della divulgazione storica giornalistica 'classica' – furoreggiavano sotto gli ombrelloni estivi. La divulgazione postmoderna, ormai, bisogna farla in altri modi: e nessuno sa bene in che modo, mentre la crisi del libro incalza. Questo libro brioso e discontinuo è stato accolto da un’editrice prestigiosa come la Utet: che sia un segno?