Agorà

CALCIO L'INCHIESTA. La provincia ha perso il pallone

Marco Birolini venerdì 20 luglio 2012
Il Milan che vende Ibra per risanare i conti è solo la punta dell’iceberg della crisi del calcio italiano. Se la serie A tira la cinghia, il pallone di provincia sta molto peggio. Sono tempi grami dalla B in giù: il pubblico scarseggia, i diritti tv regalano briciole e in compenso ingaggi e costi restano troppo elevati. I bilanci si tingono di rosso e i presidenti mollano la presa, spesso circondati dalla totale indifferenza. «In questi anni nessun imprenditore si è fatto avanti nemmeno per una sponsorizzazione» si è sfogato Giovanni Semeraro nel giorno dell’addio al Lecce, ceduto dopo 18 anni all’industriale orobico-pugliese Savino Tesoro. Il Piacenza si è estinto senza troppi rimpianti. Finita l’era Garilli, che aveva guidato gli emiliani fino alla ribalta della serie A, nessuno si è fatto avanti per salvare il club. E pensare che sarebbero bastati 500 mila euro per scongiurare il fallimento. Ora il Piacenza ripartirà dai dilettanti: il titolo sportivo è stato rilevato da un’associazione di tifosi. Futuro nero anche per la Triestina, fallita proprio nel centenario della nascita di Nereo Rocco. La bora non ha portato scialuppe di salvataggio e il club non si è iscritto alla seconda divisione dopo due retrocessioni consecutive. Assoluto il disinteresse per le sorti di una società gloriosa che nel 1948, guidata dal Paron, si piazzò seconda in serie A dietro al Grande Torino. Si è rivelata un bluff anche la cordata veneta interessata a rifondare il club: mancava persino la copertura finanziaria per la serie D. Non è aria di investire nel calcio, ritenuto un settore scarsamente remunerativo e ad alto rischio fregature: non aiuta lo scandalo del Calcioscommesse, non a caso spuntato proprio nelle zone d’ombra degli spogliatoi di provincia. Tra chi magari non vede lo stipendio da mesi, la malapianta attecchisce più facilmente . La crisi economica, beninteso, fa il resto, scoraggiando anche i mecenati più illuminati e ottimisti. «Il momento è difficile, tutte le aziende devono concentrarsi sulla loro vita, c’è sempre meno spazio per investire nello sport». Parola di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, che ha annunciato un graduale disimpegno dal Sassuolo. Sempre in Emilia, scompare la Spal, fondata nel 1907 e già risorta nel 2005 dopo un primo crac economico: servivano 3 milioni per saldare i debiti e iscriversi alla Seconda divisione, ma il presidente Butelli non li ha trovati. Che nostalgia per gli anni Cinquanta, quando Ferrara veleggiava in serie A. Poco più in là, in Romagna, il Ravenna ricomincerà dall’Eccellenza. Rimpianto per i bei tempi andati anche per il Mantova 1911, rinato (per la terza volta) appena due anni fa grazie anche all’azionariato popolare. La società è stata appena acquistata dall’imprenditore calabrese Francesco Depasquale dopo esser rimasta per un pelo tra i professionisti a spese del Lecco, battuto ai playout e anch’esso passato di mano: l’ha comprato l’italo-americano Joseph Cala. Sia Cala che Dipasquale sono sbarcati tra lo scetticismo dei tifosi.Le cose vanno anche peggio al Sud: il Messina, volato fino al 7° posto in serie A nel 2005, è precipitato come Icaro: fallito nel 2009, naviga in serie D come il Cosenza, altra nobile decaduta. Il Taranto non sarà al via della Lega Pro per difficoltà economiche, a Foggia le luci di Zemanlandia si sono spente da un pezzo: non ci sono i soldi per l’iscrizione alla Lega Pro, il club ripartirà dai Dilettanti. «Nessuna cordata si è fatta avanti per rilevare il pacchetto azionario» hanno preso atto i Casillo al passo d’addio. Lo scenario è desolante, la Lega Pro ha perso 8 club (spariti anche Giulianova, Pergocrema e Siracusa): quasi un milione di tifosi sono rimasti senza calcio. In tutto, negli ultimi tre anni si sono dissolte 21 squadre. «Se non avessimo elargito 70 milioni di contributi parleremmo di un’autentica ecatombe» ha tuonato il presidente Mario Macalli. Non tutti hanno un Buffon che si tuffa a salvarli. Il portiere azzurro ha rilevato il 100% della Carrarese, ma è una fortunata eccezione. Il calcio di provincia, storico serbatoio di talenti, si sta prosciugando. E nessuno sembra preoccuparsene.