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IN RIMA / 8. Bisutti: la poesia italiana? Tra mafie e politica

Alessandro Bottelli mercoledì 19 settembre 2012
«Il mio ultimo libro dà – credo – alcuni suggerimenti utili per "usare la poesia" nella scuola». La voce che sento sporgersi dal telefono – e che mi investe come una boccata d’ossigeno – è quella corroborante di Donatella Bisutti. Già autrice, tra l’altro, di fortunati e ben organizzati volumi indirizzati ai più giovani, nel recentissimo <+corsivo>La poesia è un orecchio<+tondo> (pagg. 272, euro 15,00), uscito proprio in questi giorni per Feltrinelli, l’intellettuale milanese prosegue e approfondisce un discorso avviato con successo negli anni precedenti, nell’intento di «contribuire in modo preciso a una "educazione all’emozione" che non è prevista dalla nostra scuola, né più generalmente dalla nostra cultura». In fondo, che tipo di emozioni dovrebbe suscitare la poesia?
«La poesia deve sempre suscitare emozione. Quale? Una delle tante che compongono l’arcobaleno della nostra psiche. Se non c’è emozione non c’è poesia».Cosa ha portato nella sua esistenza l’irruzione del dèmone poetico?«Non lo so. Ho cominciato a scrivere poesie a otto anni. E ho deciso già allora che volevo diventare una scrittrice». Eppure la poesia, in certi casi, va molto al di là della bellezza delle sue motivazioni estetiche o puramente formali. La poesia, in certi casi, è qualcosa che salva la vita...«La poesia in quanto opera esclusivamente estetica e formale presenta poco o niente interesse ai miei occhi. Ritengo che l’aspetto "formale" sia soltanto il "veicolo" del suo straordinario valore sul piano esistenziale. In questo senso ho scritto che "La poesia salva la vita" – espressione che è diventata il titolo di un mio saggio – perché essa può darci indicazioni preziose e contribuire allo sviluppo armonioso di tutte le nostre facoltà psichiche. Questa convinzione ha animato e dato senso all’intero mio lavoro». Quale tipo di saggezza può essere racchiusa nei versi di una poesia?«La saggezza come la intendevano gli Antichi, ovvero la Sapienza, che è cosa ben diversa e ben più importante della cultura, dell’erudizione, e anche della somma di conoscenze delle varie discipline umane, perché la Sapienza si muove nel campo dello Spirito, dell’Invisibile. Essa nasce in primo luogo dall’ascolto del silenzio interiore. Analogamente, la poesia non può nascere che da questo silenzio».
Anche le parole, come gli esseri umani, possono stancarsi? Oppure non farsi trovare al loro posto, essere svogliate, svagate, incostanti, permalose, e magari ostinarsi a rimanere accucciate nell’ombra…«Le parole sono come le foglie (e da questa idea è nato il titolo di un altro mio libro, L’Albero delle Parole), che si rinnovano continuamente. Se appaiono vecchie e logore, dipende solo dall’incapacità di chi le adopera. In sé le parole sono Logos, cioè pura energia creativa».
Ci sono luoghi che più di altri favoriscono il lavoro poetico? Quello che le è maggiormente congeniale è simile alla stanza descritta in Selbst: «…monacale: / una precisa / porzione di infinito. / Ed io / dentro / a risuonare il vuoto»?«Si tratta solo di una metafora. Ogni luogo può essere adatto per scrivere poesie: una delle mie più recenti, pubblicata nella raccolta Rosa Alchemica, è stata composta all’aeroporto di Lisbona in mezzo a cumuli di valigie. La "stanza" è dentro di noi"».
Di che cosa ci si appropria scrivendo? «Di se stessi prima di tutto, direi, secondo il famoso comando scolpito sul frontone del tempio di Apollo a Delfi: gnozi seauton, conosci te stesso».
Chi è oggi il poeta, come lo si riconosce?«Niente purtroppo è più inflazionato oggi del termine "poeta", che chiunque si attribuisce da sé. Io preferisco dire che, quando mi riesce, scrivo delle poesie».
«La poesia, la scrittura devono essere un servizio, non un palcoscenico». Ritiene invece che spesso il narcisismo e l’ambizione personale degli autori offuschino, magari in modo irreparabile, l’attuazione di questi edificanti propositi?«Un poeta deve essere umile come chiunque abbia ricevuto un dono, che come tale va messo al servizio degli altri e non deve certo essere usato per glorificare se stessi. Il poeta, al di fuori del momento in cui scrive la sua poesia, può essere anche una persona esecrabile. Per fortuna però la poesia va al di là del poeta».«Spesso si fa più carriera con il potere che con la qualità». Dalle sue parole si deduce che persino la poesia, qui da noi, soffre di clientelismi e appoggi stratificati, che non premiano l’eccellenza ma favoriscono il diffondersi di una mediocrità di maniera… «Sempre più spesso mi dico che la poesia, da noi, è come la politica perché vi avvengono le stesse cose: clientelismi, compromessi, scambi di favori e alleanze improprie. Anche nella poesia ci sono partiti e gruppi, o addirittura fazioni. Non è azzardato nemmeno parlare di mafie. E chi non sta al gioco subisce una sorta di esecuzione "bianca": gli si toglie la possibilità di far sentire la sua voce, che è l’unica cosa che ha. In questi ultimi vent’anni il fenomeno si è aggravato ed è diventato una più che inquietante metastasi, contribuendo in modo determinante ad abbassare il livello qualitativo del nostro panorama poetico».Oltre ad aver fondato la rivista "Poesia e Spiritualità", nel 2005 lei ha pubblicato il poema sacro Colui che viene. Si sente particolarmente attratta da queste tematiche? Cosa intende per "sacro"?«Il poema che lei cita, e che mi è particolarmente caro, è stato da me scritto nell’isola di Patmos in Grecia, ispirandomi anche all’Apocalisse oltre che ad esperienze spirituali da me vissute, e parla del Cristo e dell’Uomo Nuovo. Sacro tuttavia non significa solo connesso con la religione, ma, seguendo Mircea Eliade, il sacro è tutto ciò che fonda l’agire umano: "il sacro è saturo di Essere", diceva appunto Eliade. Il sacro è il trasparire nel reale quotidiano di una realtà più profonda e portatrice di senso: è questa per me una definizione perfetta anche della poesia e del modo in cui essa usa la metafora».
La poesia è dunque una strada per arrivare all’essenza, alla conoscenza profonda delle cose, alla loro intangibile verità?«Sì, per quanto ci è concesso. Per questo i grandi mistici si sono espressi in poesia, e anche la Bibbia, per esempio nel Cantico dei Cantici».All’interno del suo corpus poetico spiccano anche componimenti caratterizzati da una incandescente sensualità. Come concilia sulla pagina Eros e spiritualità?«Non a caso forse mi è venuto fatto di citare il Cantico dei Cantici. Si potrebbe pensare anche ai versi di amore infuocato del Cantico Spirituale di San Giovanni della Croce. Credo che Eros e Spiritualità si possano conciliare benissimo e anzi l’Eros possa condurre a una conoscenza del Divino: l’Eros è cosa assai diversa dal sesso ed era un dio presso i Greci. Esso è di per sé qualcosa che trascende i sensi e ci fa scoprire nel corpo una manifestazione del Divino. E’ in fin dei conti una forza eminentemente spirituale. Naturalmente l’Eros, come tutto d’altronde, può essere pervertito».
Lei ha dichiarato che «la poesia è un mettersi sull’orlo dell’abisso e guardare rischiosamente in giù». Ha mai avuto la tentazione di ritrarsi, di staccare lo sguardo da quella voragine senza fondo?«Non ho potuto ritrarmi, perché quello sarebbe stato il vero perdersi».
Cito ancora alcune sue parole: «… parlo molto della morte nei miei versi… è il nostro termine di riferimento, quando scendiamo in profondità, serve a darci misura, consapevolezza, più amore per la vita». Ma trattando di perdite e di assenze, sin dove può spingersi la poesia - e l’arte in generale - nell’esternare il proprio e altrui dolore?«La poesia ci rinvia sempre al di là dei limiti e nel far questo li capovolge. Nella filosofia zen l’illuminazione ha luogo quando il limite, appunto, viene superato».
L'INEDITO
 
Qualcuno mi abitache non sono io.Qualcuno più grandeche non conoscoa cui devo far posto.
L’ho sempre respinto finoraperché non invadesse la mia vita.Si è seduto per anni davanti alla portain quieta attesa.
Viene adesso che la morte è vicina.Egli sa dov’è il camminoe mi lascia da partecome la foglia secca che rotola sull’asfaltocome la pelle abbandonata dal serpentel’involucro della larvala coda staccata della lucertola.
 
Io devo farmi da parteraccogliere gli stracci delle mie paurele gioie inconsapevolie i piaceri gelosi golosi sottratti al tempotutte le notti trascorsecon gli occhi affissi nel deliriodi un cielo scintillante di troppe stelle.
 
Egli viene orae dietro alle sue spallec’è l’angelo con le ali di tempesta.
Donatella Bisutti