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VAHRAMIAN. La patria dei genocidi

Herman Vahramian venerdì 24 settembre 2010
A partire dall’VIII secolo il Medio Oriente è diventato teatro di genocidi. Fu l’eredità politica di Gengis Khan, che innalzò migliaia e migliaia di torri formate da crani umani sui territori del suo vastissimo impero. Nella storia invece si assicurarono il titolo di "genocidate" – fatta eccezione per gli ebrei, considerati il "popolo eletto" – tutte le genti dell’area: persiani, georgiani, armeni, greci bizantini, assiri, caldei. Questi popoli subirono numerosi massacri e genocidi che ridussero di nove decimi il numero degli abitanti insediati su quelle terre. Così, col soccorso della memoria storica, il modus vivendi dei variegati popoli mediorientali di oggi è diventato l’attesa di essere, in qualche modo, genocidati. Nell’immaginario collettivo di ciascun mediorientale esiste un mostro-macellaio dalle molte teste che rappresenta il destino inesorabile di ogni popolo e nazione. Israele invece, forse per un errore strategico, si è posta come simbolo eccelso e/o summa eccelsa di tutte le malefatte che gli altri (europei e statunitensi) hanno combinato in questi Paesi a partire dal XIX secolo. D’altro canto, una diversa memoria storica (stavolta forgiata nella Mitteleuropa) costringe anche Israele e gli israeliani ad attendere il proprio genocidio. E oggi questo mostro-macellaio dalle molte teste prende le sembianze dell’arabo.È per questo motivo che Israele ha messo insieme un arsenale nucleare di circa duecento bombe atomiche (la cifra esatta è ignota), quando le città mediorientali (esclusa la Palestina che è un conglomerato di catapecchie) degne di essere bombatomizzate in realtà non sono più di una decina. Così è anche per l’Iran. Ogni persiano sa che deve attendersi di essere genocidato. Una bomba atomica israeliana o statunitense su Teheran creebbe un genocidio – stima delle vittime: tredici milioni di persone soltanto nelle prime ore dell’attacco. Da qui deriva l’esercizio, variamente perseguito dai diversi governi iraniani degli ultimi quarant’anni, di «strapparsi la camicia» pur di entrare in possesso della tecnologia nucleare. Prima lo scià, in seguito Khomeyni e Rafsanjani, e infine Ahmadinejad. Questo accade sebbene sia ben noto che l’Iran è da considerare autosufficiente dal punto di vista energetico per decenni, se non per secoli.Tempo fa un anonimo diplomatico iraniano ebbe a dire: «La storia ci dimostra che a tenere separati i macellai-genocidari e le loro vittime c’è solo un muro che ha la consistenza di un foglio di carta. È quindi indiscutibile che l’intercambiabilità dei ruoli fra persecutori e vittime, che si trasformano a loro volta in carnefici, sia un fatto abbastanza frequente nella storia dell’uomo. Chi ci assicura che non saremo noi l’oggetto della vendetta di crimini commessi da qualcun altro e in qualche altro luogo?». E da qui anche le dichiarazioni di Ahmadinejad: «Europei riprendetevi le vostre vittime! È un problema europeo e occidentale, non orientale. Che la loro vendetta cada su di voi!». E ancora: «Noi non li abbiamo mai trattati come i polli da mettere in forno. Dario il grande, antico imperatore della Persia, fu insignito dell’appellativo di "unto del Signore" da parte degli ebrei perché liberò tutte le comunità ebraiche persiane dalla schiavitù e le fece tornare a casa loro – in Israele».Storicamente, è risaputo che l’Iran fu la culla delle religioni. Religioni che s’impossessarono del potere, causando la degenerazione sia della religione sia del potere temporale. Esempio eccelso rimane lo zoroastrismo. Furono i persiani che aprirono le porte del Paese agli islamici arabi sauditi per sbarazzarsi della prima religione monoteista apparsa sulla faccia della terra: quella di Zoroastro, lo zoroastrismo.«Il nostro mondo religioso è soggetto a catastrofi, o alla "Grande catastrofe" apportatrice di tragedie, che ha luogo nelle società religiose nel momento in cui il carattere assoluto e sacro appartenente all’essenza della religione viene trasferito alle interpretazioni, circoscritte nello spazio/tempo, relative e fallibili, che della religione l’uomo elabora, fino ad arrivare al fatto che ciò che un singolo uomo o singoli uomini, nella loro limitatezza, sono giunti a produrre, viene considerato religione: prende così forza l’opinione che sia religioso soltanto chi accetti quelle interpretazioni, e da questo originano molte degenerazioni, molte infedeltà, molti conflitti» (Mohammad Khatami, Religione, libertà e democrazia, Laterza 1999). Le parole dell’ex-presidente della Repubblica dell’Iran corrispondono esattamente all’odierna situazione politica e sociale di questi territori. Khatami ipotizza, se non profetizza, un conflitto epocale fra tre fondamentalismi: in primis quello ebraico, che si manifestò con l’assassinio di un uomo straordinario come Yitzhak Rabin e dimostrò la profondità della deriva fondamentalista di una religione, poi quello cristiano dei "Neocon" calato sui quei luoghi forte del proprio progetto di "Guerra duratura" e/o "Guerra dei Trent’anni", e infine, non ultima, una lunga fila di musulmani sciiti iraniani morti ammazzati perché moderati e in cerca di un dialogo prima di tutto con se stessi e in un secondo tempo con l’Occidente non fondamentalista.Oggi come oggi, il Golfo Persico è pieno zeppo di navi da guerra occidentali. L’Afghanistan e l’Iraq sembrano tornare sotto l’«ombrello» dello storico impero dei Mamalek-e Mehruse-ye Iran, ovvero i «Paesi Uniti sotto la protezione dell’Iran». E questo significa che l’Occidente rischia di perdere ben due «guerre parallele» (ovvero guerre camuffate sotto altre sigle e non dichiarate secondo i dettami della tradizionale etica militare). Le previsioni dell’ex-presidente della Repubblica dell’Iran si stanno gradualmente avverando. È iniziata la «Grande catastrofe»?