Agorà

Il caso. La nuova geografia dello sport mondiale

Mario Nicoliello giovedì 28 luglio 2022

La Nazionale irlandese di rugby balzata in testa al ranking mondiale

Il terremoto che sta rivoluzionando le gerarchie dello sport mondiale non è colpa del caldo. La più grande scossa infatti si è avvertita tra Dunedin e Wellington, dove la colonnina di mercurio a fatica raggiunge i 15 gradi. È pieno inverno in Nuova Zelanda, ma gli All Blacks si sono sciolti come neve al sole a domicilio, per due volte: prima nell’isola del Sud, poi in quella del Nord. Autori del doppio scalpo sono stati i verdi d’Irlanda, che nella palla ovale si stringono tutti insieme indipendentemente dalla religione. Non esistono Ulster e Eire nel rugby a 15, c’è solo un trifoglio color prato che simboleggia l’intera nazione. Le cartine fisiche e politiche hanno dunque gli stessi contorni, disegnando la nuova terra guida nello sport in cui la palla si passa indietro e non si lancia in avanti. La classifica per nazioni di World Rugby recita Irlanda prima, Francia seconda, Sudafrica terzo e Nuova Zelanda quarta. I Kiwi fuori dal podio non si erano mai visti da quando è stato istituito il ranking. Colpa delle due disfatte casalinghe contro i nuovi padroni della disciplina, capaci di sfatare tre tabù in una settimana. Non avevano mai vinto nel continente Down Under contro i tuttineri in un secolo di sfide, e ci sono riusciti imponendosi 23-12 al Forsyth Barr Stadium, fortino in precedenza inespugnato. Non avevano mai battuto i neozelandesi in una serie estiva e stavolta hanno avuto la meglio per 2-1, giacché dopo la sconfitta di Auckland (42-19 per i Kiwi) e la vittoria di Dunedin, hanno rivinto otto giorni dopo a Wellington per 32-22. Non avevano mai mantenuto la testa del ranking mondiale per più di due settimane e adesso rimarranno in cima almeno fino all’autunno, avendo anche sfondato, altra primizia, il muro dei 90 punti.

Una rivoluzione estiva, che conferma come la geografia dello sport globale sia un argomento in continua evoluzione. Basta guardare quanto accaduto al Tour de France, con l’asso sloveno Tadej Pogacar impressionante, forse troppo, nella prima settimana e poi scalzato dalla vetta dal danese Jonas Vingegaard, un venticinquenne che ha cominciato a guadagnarsi da vivere facendo il pescatore e che ha affrontato la prima salita in bicicletta solo a 16 anni. Danimarca sugli scudi quindi nel ciclismo, come in primavera lo era stata l’Eritrea dopo il successo alla Gand-Wevelgem di Biniam Girmay, poi ripetutosi nella decima tappa del Giro d’Italia, nella volata ristretta di Jesi. Il ventiduenne di Asmara, primo esponente dell’Africa nera a vincere in un grande giro a tappe, non ha fatto in tempo a gioire, perché il tappo dello spumante gli ha rovinato la festa. Nessun problema invece nell’esultanza per il grenadino Anderson Peters, che da due edizioni è il re iridato del giavellotto. Il più bravo a far volare l’attrezzo da 800 grammi, in passato appannaggio di scandinavi e mitteleuropei, ma ora favorevole ad africani (il keniano Yego conquistò l’oro iridato 2005), asiatici (l’indiano Chopra ha vinto ai Giochi di Tokyo) e caraibici: oltre a Peters, il trinidegno Walcott si impose a Londra 2012. Al recente Mondiale di atletica di Eugene l’altra bandiera nuova comparsa nel firmamento è la peruviana, piantata due volte sul gradino più alto da Kimberly Garcia Leon, vincitrice di 20 e 35 chilometri di marcia. Grosse novità anche in piscina, perché i recenti Mondiali di Budapest hanno ridisegnato i confini dello stile libero veloce. Il sovrano di 100 e 200 crawl è il diciassettenne David Popovici, che in Ungheria approfittando dell’assenza di Caleb Dressel è diventato il primo nuotatore maschio rumeno a vincere l’oro iridato e il più giovane a conquistare i 200 stile libero dal 1978.

Aria nuova si respira anche sulle pedane della scherma. Ai Mondiali del Cairo in seconda posizione nel medagliere, alle spalle della Francia e davanti all’Italia, si è piazzata la Corea del Sud con tre ori. Gli schermidori di Seul e dintorni hanno dominato la sciabola a squadre maschile, la spada a squadra femminile, battendo in finale le azzurre Fiamingo, Isola, Navarria e Santuccio, nonché il torneo individuale di spada in rosa con la ventinovenne Song Sera. L’Australia è tornata ad alzare la voce nel golf, col prossimo trentenne Cameron Smith sorridente nel sollevare la Claret Jug dentro l’Old Course di St. Andrews, dopo aver conquistato il primo Major della carriera e riportato il nome di un Canguro nell’albo d’oro dell’Open Championship a 29 anni dall’ultimo successo di Greg Norman. Nei motori la geografia è stata sconvolta nel 2021, con un olandese (Max Verstappen) campione del mondo in Formula Uno, un francese (Fabio Quartararo) iridato in MotoGp e un turco ( Toprak Razgatlhoglu) padrone della Superbike: tre Paesi prima d’ora mai al vertice nelle tre categorie. L’universo agonistico post-Covid è diverso da quello precedente alla pandemia e l’Italia ne ha approfittato sia ai Giochi di Tokyo, con un raccolto (40 medaglie) ricco come quanti altri mai nel contesto a cinque cerchi, sia agli Europei di calcio, rivinti dopo 53 anni. Ciò che non è cambiato, prima e dopo il virus, è l’assenza azzurra dalla coppa del mondo di calcio. Ritornarci potrebbe essere la rivoluzione geografica del prossimo quadriennio.