Agorà

La testimone. «Vi racconto come morì papa Luciani»

Stefania Falasca sabato 4 novembre 2017


Alla sua morte il mondo rimase incredulo e seguirono ipotesi complottiste e “noir”. Ora il libro della vaticanista ed editorialista di «Avvenire» Stefania Falasca, «Papa Luciani. Cronaca di una morte» in uscita da Piemme (pagine 252, euro 17, prefazione del segretario di Stato cardinale Pietro Parolin) fa chiarezza: «È tempo di riavvolgere il nastro della storia. Per ricominciare da lì, dalla fine. Da quegli ultimi stralci di vita in quella sera del 28 settembre 1978». Ecco un brano dell’interrogatorio di suor Margherita Marin, fra le prime a vedere il papa morto, teste ascoltata, su indicazione della Postulazione della Causa di canonizzazione, a Trento il 12 maggio 2009. Il documento integrale, insieme a numerosi altri che fanno definitiva chiarezza sulla morte di papa Luciani, sono pubblicati nel libro di Stefania Falasca.


Può dire a che ora, come e chi rinvenne il decesso del Papa?
«Verso le 5.15 di quel mattino, come ogni mattino, suor Vincenza aveva lasciato una tazzina di caffè per il Santo Padre in sacrestia subito fuori dell’appartamento del papa, davanti alla cappellina. Il Santo Padre uscendo dalla sua stanza era solito prendere il caffè in sacrestia prima di entrare nella cappella a pregare. Quella mattina però il caffè rimase lì. Passati circa dieci minuti, suor Vincenza disse: «Non è ancora uscito? Ma come mai?». Io ero lì in corridoio. Così ho visto che ha bussato una volta, ha bussato di nuovo, non ha risposto... Ancora silenzio, allora ha aperto la porta e poi è entrata. Io ero lì e mentre lei entrava rimasi fuori. Sentii che disse: “Santità, lei non dovrebbe fare di questi scherzi con me”. Poi mi chiamò uscendo scioccata, entrai allora subito anch’io insieme a lei e lo vidi. Il Santo Padre era nel suo letto, la luce per leggere sopra la spalliera accesa. Stava con i suoi due cuscini dietro la schiena che lo tenevano un po’ sollevato, le gambe distese, le braccia sopra le lenzuola, in pigiama, e tra le mani, appoggiate sul petto, stringeva alcuni fogli dattiloscritti, la testa era girata un po’ verso destra con un leggero sorriso, gli occhiali messi sul naso, gli occhi semichiusi... sembrava proprio che dormisse. Toccai le sue mani, erano fredde, vidi e mi colpirono le unghie un po’ scure».
Non notò niente fuori posto?
«No. Niente. Niente. Neppure una piega. Niente di caduto a terra, niente di scomposto che potesse far pensare a un malore di cui si fosse accorto. Sembrava proprio come uno che si addormenta leggendo. Che si addormenta e rimane così».
E poi che cosa avete fatto?
«Subito dopo suor Vincenza andò su a chiamare il padre Magee e io corsi a chiamare don Diego, bussai alla porta, lo chiamai: “Venga giù, il Santo Padre, il Santo Padre...”. Si svegliò di soprassalto e venne giù. Recitammo una preghiera, poi padre Magee andò a chiamare il medico del Vaticano. Il dottor Buzzonetti venne quasi subito; vidi arrivare il cardinale Villot e poi Poletti».
Voi suore eravate presenti al momento del referto del medico?
«No, perché uscimmo dalla camera. Venne dopo di là da noi il padre Magee, ci disse: “Non ha sofferto, non se n’è nemmeno accorto”, riferendo le parole dette dal medico e disse anche che la morte improvvisa era stata la sera verso le undici. Questo ho sentito. Non ho sentito altre cose... c’era poco da dire. Noi non ci occupammo poi di sistemare il corpo, né suor Vincenza né noialtre; ci pensarono loro, arrivò più tardi anche Angelo e altri ad aiutare».
Cosa ricorda ancora di quei momenti?
«Ricordo l’andirivieni dei prelati, ricordo che andavano avanti e indietro nel corridoio e sentii che non sapevano come fare a dare al mondo la notizia che il papa, che in poco tempo aveva conquistato tutti, era morto così, tanto che solo due ore dopo, da quando noi suore l’avevamo rinvenuto, diedero la notizia ufficiale. Ricordo che quando ancora il Santo Padre era nella sua stanza venne anche a vederlo sua nipote, una ragazza giovane, si fermò in disparte e pianse con suor Vincenza. Noi suore, senza i segretari, assistemmo alla messa di suffragio celebrata dal cardinale Poletti. Ci chiamarono più tardi per dare i paramenti e per accompagnarlo nella Sala Clementina, restammo lì a pregare e poi ritornammo su perché dovevamo liberare l’appartamento e sigillare tutto, secondo quanto è stabilito dalla prassi. Ricordo che il padre Magee ci disse di prendere alcuni effetti personali del Santo Padre. A suor Vincenza diede gli occhiali, le pianelle e altri oggetti, io tenni con me la sua radiolina che conservo ancora come una reliquia».
Ricorda se qualcuno le ha intimato di dire questo o quello in merito alla morte del papa?
«Il padre Magee ci disse di non dire che eravamo state noi suore, io e suor Vincenza, a trovarlo morto nella camera, perché avevano deciso di dire che erano stati i segretari a trovarlo per primi».
Lei sa chi prese e cosa ne è stato dei fogli che aveva in mano?
«No. Non saprei dire chi se ne occupò. Né lo chiesi. Noi lo lasciammo che li aveva in mano, non toccammo niente. Erano fogli dattiloscritti, anzi mezzi fogli, due o tre. Non scritti a mano, sono certissima, ma non so dire il contenuto perché non mi sono messa a leggere in quei momenti lì. Qualcuno lì in corridoio ci ha detto che erano i fogli per l’udienza del mercoledì. Lo studio con le sue carte e la camera sono stati poi sigillati e riaperti dal suo successore, Giovanni Paolo II. Io ero presente quando il nuovo papa tagliò i sigilli ed entrò nell’appartamento».
Dopo la morte del papa ebbe modo di incontrare suor Vincenza o le altre consorelle e di ricordare qualche particolare di quel mese?
«Sì, ci siamo incontrate, poco con suor Vincenza, di più con suor Elena, che intanto si era ammalata di tumore. Ma più che ricordi particolari di quei giorni, ci invitavamo a vicenda a pregarlo perché lui intercedesse per noi».
Qualcuno in seguito le chiese informazioni o le espresse sospetti riguardo alla circostanza della morte di Giovanni Paolo I?
«Dopo che ritornai nella comunità di Vittorio Veneto, ricordo che mi chiamò al telefono il vescovo di Belluno, mons. Ducoli. Era molto addolorato e mi chiese di dirgli come veramente il papa fosse stato trovato, se era a terra, caduto in qualche modo. “No, eccellenza”, gli dissi, “guardi che il Santo Padre era nel suo letto, l’abbiamo visto noi, e non aveva neanche una piega”»
Ha qualche cosa ancora da dire in merito alle versioni contrastanti sulle ultime ore del papa?
«Come siano venute fuori tutte quelle dicerie proprio non lo so. Noialtre eravamo lì. Posso dire, e ho detto, tutto quello che so e che ho visto».