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Psicologia. La memoria dei testimoni spesso “sbaglia”. Come evitare errori giudiziari

Andrea Lavazza giovedì 28 luglio 2022

Nel nostro sistema penale il racconto del testimone di per sé non ha bisogno di riscontri esterni e permette, se ritenuto fondato, di basare la sentenza su di esso. Il modello è quello detto del “testimone notaio di se stesso”. Il testimone racconta ciò che ha appreso e certifica che il contenuto del racconto è ciò che egli crede vero. La psicologia e le scienze correlate ci stanno però mostrando sempre di più come la memoria sia una facoltà fallace e l’individuo, in perfetta buona fede, possa riferire i fatti in modo fortemente difforme dal loro reale svolgimento. Giuseppe Sartori, docente di Neuropsicologia forense all’Università di Padova, scienziato di fama internazionale, è stato protagonista di alcuni importanti recenti processi come perito e consulente del giudice o delle parti. Sulla base delle conoscenze scientifiche e della sua esperienza forense, ha scritto un manuale (La memoria del testimone, Giuffrè, pp.390) che è destinato a mutare la percezione delle testimonianze giudiziarie. In un colloquio con l’autore, andiamo alla scoperta di tutti gli “errori” della memoria.

Professor Sartori, molti processi si basano sulla memoria del testimone. Che la memoria a volte ci faccia brutti scherzi lo sappiamo da sempre. Ma oggi le scienze cognitive ci dicono che la memoria ha meccanismi specifici che vanno conosciuti se si vuole avere una valutazione attendibile dei resoconti dei testi. Quali sono state le prime evidenze dell'affidabilità generale della memoria nei processi?

Storicamente, una delle prime ricerche empiriche è stata quella di Musatti che, nel 1930 circa, ha rilevato come l’accuratezza e completezza del ricordo di un gruppo di testimoni variava moltissimo. Così come ci sono persone che sanno fare i calcoli a mente meglio di altre, ci sono testimoni che ricordano molto bene ed altri molto male. Nei processi, però, non si fanno valutazioni della capacità di base di ricordare, e tutti i testimoni sono trattati in modo uguale. Il metodo migliore per comprendere la frequenza con cui la memoria umana commette errori consiste nell'analizzare situazioni nelle quali tanti testimoni vedono, e successivamente descrivono, la medesima scena. I casi giudiziari nei quali questo avviene non sono moltissimi, ma in queste situazioni si osservano delle diversità notevoli nel racconto da un testimone all’altro.

Quali sono i tipi più frequenti di distorsioni della memoria che si riscontrano nelle testimonianze rese in un’aula di tribunale?

Ci sono moltissimi fattori che riducono la precisione con cui il testimone ricorda. Ad esempio, l’elevata distanza di tempo, l’età del testimone, quante volte ha ripetuto il racconto, se ha sentito il racconto da altri co-testimoni, se è stato interrogato con metodi inadeguati dagli investigatori... Forse uno degli elementi principali che riducono l’accuratezza del ricordo è la confondibilità dell’evento che deve essere raccontato. Ad esempio, una pugnalata è un evento non confondibile, che viene ricordato molto meglio, a parità di tutto il resto, rispetto ad una conversazione casuale al bar. Di coltellate non ne abbiamo mai viste, mentre le conversazioni al bar sono cose che succedono ogni giorno

Come si può valutare l’attendibilità dei riconoscimenti di persona?

È stato dimostrato come gli errati riconoscimenti di persona (tipicamente effettuati mediante il riconoscimento all’americana o mediante riconoscimenti fotografici) siano la fonte più frequente di errore giudiziario. Le ricerche scientifiche hanno messo a fuoco le procedure migliori per evitare questi errori di riconoscimento alla luce di una grande quantità di studi empirici, procedure incluse in precise linee guida. Un riconoscimento all’americana dovrebbe partire, ad esempio, da come il testimone descrive verbalmente l’autore del crimine (es. 60 anni, calvo, con i baffi) e tutti i soggetti inseriti nel confronto dovrebbero avere queste caratteristiche. Raramente, però, questo criterio viene seguito. In un caso il sospettato, uomo di circa 80 anni, è stato messo a confronto con due giovani di circa 25 anni. È chiaro che una procedura come questa non permette di avere la certezza che l’80enne presentato fosse effettivamente l’80enne che aveva commesso il crimine.



Esistono davvero le amnesie per il crimine? Può essere che un assassino rimuova il ricordo del delitto? Che conseguenza ha tutto ciò sul processo?

L’amnesia per il crimine viene riferita molto frequentemente dal criminale, il quale usa questo termine quasi sempre in modo improprio. Le vere amnesie per il crimine (tecnicamente si chiamano amnesie lacunari psicogene) sono molto rare. Più frequentemente, si tratta di un impoverimento del ricordo dovuto alla mancanza reiterazione del ricordo. Ad esempio, a un omicida che ha ucciso il figlio non piace ripercorrere mentalmente quello che ha fatto. La mancata ripetizione del ricordo determina un impoverimento del ricordo stesso, ma questa non si può considerare una vera amnesia. Ci sono infine le amnesie utilizzate come strategie defensionali per evitare di riferire aspetti del crimine che magari possono dar origine a contestazioni di aggravanti che, segnalando l'amnesia, il criminale spera di evitare.

Che valore possono avere i racconti dei bambini? Cambia qualcosa se sono le presunte vittime o soltanto testimoni?

Uno dei parametri che influisce sull'accuratezza del ricordo è il grado di maturazione dei meccanismi della memoria umana. Nel bambino la capacità di memorizzazione diventa simile a quella dell’adulto verso gli 11-12 anni. Prima dell'acquisizione minimale del linguaggio, però, il bambino non potrà riferire verbalmente quello che ha visto. Anche dopo i 3-4 anni il ricordo è molto limitato in termini di completezza ed accuratezza e molto influenzato dalla sua (limitata) conoscenza del mondo. Solitamente il giudice, soprattutto se il bambino è piccolo, si avvale di un perito per capire se il piccolo testimone può produrre una testimonianza valida. Inoltre, la precisione con cui si raccontano i fatti cambia molto se il comportamento da descrivere viene visto o è agito in prima persona dal testimone.

In generale, quali sono le tecniche che il giudice oggi può impiegare per capire meglio se il ricordo del testimone, le dichiarazioni dell’imputato o della vittima sono sincere e realistiche o dovute a una distorsione della memoria?

Come ho scritto nel libro, il giudice, il pm e l’avvocato sono i professionisti che più frequentemente hanno a che fare con la valutazione della memoria, forse più frequentemente dei cosiddetti esperti, psicologi e psichiatri. Sono loro che dovrebbero diventare i veri esperti nella valutazione del testimone. Molte volte il senso comune aiuta la valutazione, ma in molti altri casi quello che dice un testimone dovrebbe essere valutato sulla base dei dati scientifici. Un grande problema è la valutazione del testimone che mente. È cosa nota a livello scientifico che non è possibile dire, nemmeno per un esperto investigatore, se una persona mente o meno. Eppure c’è il convincimento comune che il mentitore riveli se stesso dal comportamento (per esempio, si mostra nervoso, arrossisce, è troppo sicuro). Gli studi scientifici permettono di comprendere quando il testimone sbaglia a ricordare pur essendo sincero e quindi convinto di riferire cose da lui ritenute come realmente accadute.

Ci può raccontare qualche caso giudiziario famoso in cui la valutazione affidabile o non affidabile della memoria ha giocato un ruolo importante?

Un caso recente famoso è quello del giudice della Corte Suprema americana Brett Kavanaugh. Quando si è prospettata la sua candidatura, una sua compagna di liceo ha denunciato alla stampa alcuni presunti comportamenti molesti di Kavanaugh avvenuti 30 anni prima a una festa studentesca dove scorreva molto alcol. In questo caso si sono intrecciati i tipici fattori che rendono problematica la valutazione della accuratezza del ricordo di un testimone. Distanza di tempo elevatissima, influenza delle opinioni politiche sulla “coloritura del ricordo”, gli effetti del trauma sulla accuratezza del ricordo. Il pm che ha svolto le indagini ha archiviato il caso proprio sulla base di tutti questi fattori che rendono incerto il ricordo della donna. Altri casi famosi sono quelli di Dominique Strauss Kahn che ha visto interrotta la sua corsa all’Eliseo per una accusa di abuso sessuale, oppure quello di Julian Assange, fondatore di Wikileaks o del calciatore Neymar. Tutti casi poi archiviati in quanto l’incertezza nel racconto impediva una ricostruzione affidabile di quanto realmente accaduto.

I giudici e gli avvocati saranno disposti a dare più spazio alle scienze cognitive e agli esperti nella valutazione dei resoconti dei testi? Perché c’è resistenza all’ingresso delle neuroscienze nelle aule di giustizia?

La tendenza generale è quella della “scientificizzazione” del processo penale. Fino a 50 anni fa c’erano solo i testimoni per ricostruire il fatto di interesse. Adesso ci sono, oltre ai testimoni, i social networks, le email, la geolocalizzazione che aiutano molto. Nonostante questo, il testimone gioca e giocherà sempre un ruolo centrale nel processo penale e quindi la sua valutazione resterà sempre importantissima. Le scienze cognitive mettono a disposizione molti dati certi, utili a valutare la qualità di una testimonianza. L’utilizzo di questi dati però si deve scontrare con il convincimento degli operatori del processo che la testimonianza non rientri a pieno titolo fra le aree di indagine scientifica e che la sua valutazione possa fondarsi solo sulla intuizione. In realtà, il testimone del processo penale ha caratteristiche molto diverse da quelle del testimone reale. È un testimone che dice il vero fino a prova contraria e il cui ricordo non è influenzato da fattori come il passare del tempo. A questo riguardo, ci sono processi nei quali il testimone chiave viene risentito dopo 10-15 anni, ma a questa distanza di tempo l’accuratezza del ricordo (a parte casi particolarissimi) è decisamente bassa. L'eventuale accuratezza del ricordo dopo un lungo periodo dovrebbe essere vista con sospetto dai giudici, in quanto non si riferisce a percezioni dirette ma più spesso a rilettura della documentazione o ad altre situazioni.