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èVita. Scienza e business nella «mappa» del cervello

Emanuela Vinai giovedì 21 febbraio 2013
Ci sono molti modi per rilanciare l’economia: puntare sulle infrastrutture, oppure sul sostegno all’occupazione, o lanciarsi nella conquista dello spazio. Gli Stati Uniti hanno deciso di scommettere su un settore che negli ultimi dieci anni ha dimostrato di avere rendimenti molto al di sopra della media: la ricerca scientifica. Si chiama «Brain Activity Map» il progetto che si propone di mappare l’attività del cervello umano, l’ambiziosa sfida che, come anticipato dal New York Times, il presidente Obama vorrebbe inserire nella proposta di bilancio e sviluppo da presentare al Congresso. Si parla di un investimento di 300 milioni di dollari l’anno per dieci anni, con una spesa complessiva di 3 miliardi.
A ispirare l’idea è certamente il Progetto Genoma (1990-2003) che con un costo di 3,8 miliardi fruttò 800 miliardi in nuove attività. Di fronte allo strabiliante moltiplicatore di benefici su un’economia che stenta a decollare, la parte dedicata ai dubbi risulta poco praticata. Inoltre, dal punto di vista scientifico, l’idea di comprendere il funzionamento di quella scatola nera che noi chiamiamo cervello è molto più di un’affascinante opportunità. Le aspettative in questo settore sono altissime e comprendono la convinzione di poter svelare il mistero di patologie degenerative come l’Alzheimer, dei disturbi mentali e, in sovrappiù, di poter indagare la coscienza, i processi di pensiero e le emozioni. L’obiettivo fondamentale del progetto non sarebbe quello di tracciare come i neuroni sono connessi ad altri neuroni ma di visualizzare l’azione di tutti i singoli neuroni contemporaneamente in un dato organismo e come l’organismo reagisce. Ciò è simile alla tecnica attualmente utilizzata per la risonanza magnetica funzionale (Fmri), ma con una risoluzione di gran lunga superiore. Ogni "voxel" (pixel tridimensionale) in un’immagine Fmri contiene decine di migliaia di neuroni: con questo progetto si svilupperebbero tecniche di raccolta dinamiche di immagini in movimento, in cui ciascun voxel corrisponde a un singolo neurone e il risultato dovrebbe essere simile alla differenza tra una fotografia e un video ad alta risoluzione.
«Il principale beneficio che vedo, da neuroscienziato, è un progresso delle conoscenze scientifiche di base sul funzionamento del sistema nervoso umano – spiega Filippo Tempia, ordinario di Fisiologia, del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino –. Questo progetto rappresenta un tentativo di sfondare una nuova barriera del sapere umano, pur senza previsioni precise su cosa si riuscirà a comprendere una volta ultimato. L’idea è conquistare un livello di conoscenza situata a un grado di complessità e completezza superiori a quanto sia mai stato raggiunto in precedenza. Il problema principale che sorgerà dopo aver raccolto tutti i dati sarà cosa farsene: come analizzarli per capire qualcosa di più di quel che già sappiamo?».E la cura delle malattie? «Le promesse di comprendere il mistero della coscienza o di trovare in questo modo la cura di malattie come il morbo di Alzheimer o la schizofrenia non hanno, a mio parere, nessun fondamento scientifico», chiarisce Tempia. «Tuttavia una conoscenza globale dell’attività del sistema nervoso umano potrà senz’altro accelerare le scoperte in questi campi, come la sequenza del genoma umano sta aiutando gli studi di genetica umana».
A un certo livello, il cervello è una sorta di computer. Prende informazioni, ne combina di nuove con quelle acquisite in precedenza ed esegue azioni basate sui risultati di questi valutazioni. Eppure, mentre sappiamo perfettamente come funziona un computer, continuiamo a sapere molto poco su come il cervello agisce e plasma il comportamento. Sullo sfondo, l’ipotesi che nel momento in cui venissero svelati tutti i meccanismi del cervello l’immagine dell’uomo sarebbe più simile a quella di una macchina che, come tale, è anche riproducibile.Per Antonio Gioacchino Spagnolo, direttore dell’Istituto di bioetica dell’Università Cattolica di Roma, la questione «è appannaggio proprio dell’etica, tant’è che per definire lo studio di questi processi si parla di neuroetica». È necessario distinguere quali sono gli obiettivi della mappatura: «È positiva nel momento in cui identifica un’area connessa a funzioni di tipo effettivo, permettendo di riconoscere i disturbi a essa legati, per cui sul piano diagnostico e operativo è sicuramente un obiettivo auspicabile». Il giudizio diviene più problematico se la mappatura volesse invece individuare le sedi del comportamento delle persone: «È quanto sta già avvenendo in uno studio americano condotto sui reduci di guerra, che mira a identificare ed eliminare il senso di colpa. Così però si scivola nel determinismo, negando il concetto di responsabilità e finendo per relegare l’etica al rango di attività chimica come le altre».
«Si rischia di ritenere che attraverso questa mappatura si arrivi alla piena e completa spiegazione di ciò che ci coinvolge», commenta Adriano Fabris, ordinario di Filosofia morale all’Università di Pisa. «Prendiamo l’amore. Quando parliamo di emozioni e sentimenti, grazie alle scansioni cerebrali sappiamo che vi è l’intervento di sostanze biochimiche e l’attivazione di determinate aree cerebrali. Monitoriamo come a queste forze siano associati determinati effetti, ma non possiamo determinarne la causa. In altri termini, possiamo sapere come succede, ma non potremo mai sapere perché».