Agorà

Arte. La Deposizione del bosniaco Zec per la chiesa del Gesù

Giovanni Gazzaneo martedì 30 settembre 2014
L’opera di un grande artista contemporaneo collocata in una delle più belle chiese del tardo Cinquecento è già di per sé un evento. Se poi l’opera viene accolta nella chiesa del Gesù a Roma e benedetta da papa Francesco, in occasione del secondo centenario della ricostituzione della Compagnia di Gesù, l’evento assume i contorni della straordinarietà.La pala – una grande deposizione su tela dal bosniaco Safet Zec, realizzata per l’altare della cappella della Passione – è stata benedetta sabato dal Papa. Il pontefice, il primo scelto tra i gesuiti, era commosso quando ha potuto contemplare il corpo di Cristo morto sostenuto da tre confratelli: san Giuseppe Pignatelli (1737-1811), che della restaurazione della Compagnia fu protagonista; il servo di Dio Jan Philip Roothaan (1785-1853), secondo generale della rinata Compagnia; Pedro Arrupe (1907-1991), generale e figura decisiva nell’aggiornamento della Compagnia dopo il Concilio. Con la collocazione dell’opera di Zec la cappella della Passione, dove sono venerati i tre figli di Ignazio, recupera così l’integrità tematica del ciclo pittorico di Giuseppe Valeriani e Gaspare Celio, venuta meno per la scomparsa della pala cinquecentesca di Scipione Pulzone, asportata all’inizio del 1800 e ora esposta al MoMa di New York.«Il percorso compiuto per la realizzazione della nuova pala è stato lungo e non facile – dice padre Daniele Libanori, rettore della chiesa del Gesù –. Si è trattato di superare le riserve riguardanti l’opportunità di collocare un’opera d’arte contemporanea in un contesto storicizzato e poi di individuare, attraverso un concorso internazionale, un artista che potesse e volesse accettare l’inevitabile sfida del confronto con l’antico e rispondesse ai rigorosi criteri degli uffici preposti alle autorizzazioni. L’opera non doveva rispondere a un obiettivo celebrativo, quanto esprimere lo spirito che anima la Compagnia di Gesù e la volontà di servizio che essa vuole attuare dovunque sia inviata a portare il Vangelo».E Zec ha raccolto la sfida nel modo migliore, perché sa che la libertà creativa nulla ha a che fare con l’improvvisazione, ma è frutto di dedizione assoluta, di studi preparatori, nella solitudine dello studio veneziano, come è avvenuto anche per la Deposizione. Zec oggi guarda la realtà con occhi resi nuovi dalla guerra in Bosnia, dal faccia a faccia con la morte, dall’affetto trepidante per la vita che si può perdere, la propria e quella dei propri cari. Può sembrare un paradosso: la guerra che tutto distrugge ha reso più fecondo il cammino creativo. Ma qui sta la speranza, il mistero della bellezza che è capace di esprimere la potenza della nascita e il fiato sottile dell’ultimo respiro. È il miracolo di Safet, uno sguardo capace di offrirci l’essenza delle cose e di noi stessi.Da questo percorso artistico scaturisce la Deposizione: dal dolore e dalla morte degli innocenti al corpo straziato dell’Innocente. Zec si è lasciato catturare dal paradosso della bellezza cristiana: Gesù è il «più bello fra i figli dell’uomo», ma anche l’Ecce homo «senza bellezza né apparenza» . Due volti di un unico amore, quello che dà la vita. Scrive il curatore Giandomenico Romanelli, per trent’anni presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia: «Nessuno più di lui, infatti, sa e può cogliere con sincerità e partecipazione il momento in cui l’umanità di Cristo appare più violata e più debole, più inerme e più votata alla sconfitta».La Deposizione di Zec è vera perché ha saputo cogliere nel dialogo di figure e di sguardi la morte di Dio non solo come memoria, ma evento che si ripete nei nostri terribili giorni. Ed è vera perché ci mostra la speranza del Risorto nella serenità, altrimenti inspiegabile, dei volti della Vergine e dei tre gesuiti. Così il mistero della redenzione torna a farsi vera arte, oggi.