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Cinema. "Se Dio vuole" se la vocazione è una scelta che spiazza

Alessandra De Luca lunedì 23 marzo 2015
Raccontare un percorso spirituale e una conversione umana attraverso la commedia, affidandosi ad alcuni dei volti più noti e amati dal grande pubblico e a una storia che, lontana da terreni battuti, indaga sul mistero dell’esistenza. E del cuore. È questa la sfida di Edoardo Falcone, sceneggiatore di molte commedie di successo (Nessuno mi può giudicare, Viva l’Italia, Mai Stati Uniti, Stai lontana da me) che esordisce dietro la macchina da presa con un film (in sala dal 9 aprile) che afferma il ruolo centrale della fede nella vita delle persone. Incontrare Cristo può cambiarti la vita, insomma, come dimostra il protagonista di Se Dio vuole, Tommaso (Marco Giallini), un arrogante genio della cardiochirurgia per il quale il cuore è solo un muscolo senza segreti, come sanno bene la moglie Carla (Laura Morante), che al suo fianco si è spenta insieme ai propri ideali, e i figli Bianca (Ilaria Spada) e Andrea (Enrico Oetiker).Quest’ultimo è un po’ strano negli ultimi tempi e quando il ragazzo convoca una riunione di famiglia per un importante annuncio, mamma, papà, sorella e cognato sono pronti: Andrea è gay, niente di male, l’importante è amare. Ma ecco che invece accade l’imprevedibile: il giovane, già avviato sulle orme paterne, ha deciso di mettere la medicina da parte ed entrare in seminario. Vuole diventare un prete. Per Tommaso, anticlericale pieno di sciocchi preconcetti, è una vera tragedia, suo figlio sta per sprecare la propria vita. Per capire come sia potuta accadere una tragedia del genere una sera lo segue e si intrufola in un incontro di catechesi tenuto da un sacerdote davvero speciale, don Pietro (Alessandro Gassmann), simpatico e affascinante, capace di parlare con semplicità al cuore della gente e di mettere ogni giorno in pratica i propri insegnamenti d’amore. Per lui la vocazione è arrivata tardi, dopo una giovinezza un po’ turbolenta ha incontrato Dio, complice un luogo dove il senso del mistero lo senti in un alito di vento o lo vedi in una pera che improvvisamente si stacca da un albero. Per Tommaso sarà l’inizio di un viaggio ricco di sorprese, meraviglie e colpi di scena anche interiori. «Come sceneggiatore – ci racconta il neoregista – sono sempre stato al servizio di altri progetti, commedie comiche ai limiti della farsa o sentimentali. Le scrivo, ma non le amo molto. Amo invece la commedia all’italiana, Aldo Fabrizi, Totò e mi sento orgogliosamente demodé. Poi ho avuto finalmente la possibilità di esordire e ho evitato di cavalcare stereotipi che ormai mostrano la corda. Per questo, ad esempio, ho invertito i ruoli di Giallini e Gassmann, per fuggire dalla “maschera”».La decisione di affrontare nel suo primo film il tema dell’incontro con la fede parte da un’esigenza assai profonda. «Non è certamente una scelta di marketing, questo tema è qualcosa di molto vivo dentro di me soprattutto in tempi in cui alcuni argomenti lontani dal comune sentire non vengono facilmente accettati. Io invece trovo assurdo non interrogarsi sul mistero della vita, la caducità delle cose umane, inconcepibile l’idea di un’esistenza legata esclusivamente alla materia. Credo che Cristo sia una figura imprescindibile nella nostra vita e tutti dovrebbero leggere i Vangeli, anche solo per la loro bellezza. Non ho realizzato però un’opera “devozionale”: il film parla di una persona che crede di essere Dio e scopre invece la propria umanità». E a proposito del sacerdote che lo condurrà a una maggiore consapevolezza della propria fragile esistenza, il regista aggiunge: «Don Pietro è un totalmente immerso realtà, anni fa incontrai preti così, ad esempio don Fabio, un vero trascinatore». Si ride nel film, e molto, soprattutto dell’imbarazzo di Marco Giallini alle prese con un mondo a lui totalmente sconosciuto. «Il film è una satira sulle contraddizioni di questi tempi politicamente corretti, dove si accetta con grande apertura mentale di avere un figlio gay, ma non prete. Eppure una volta un figlio sacerdote era motivo di orgoglio per una famiglia, ora invece il seminario è visto come una scelta troppo estrema per essere accolta con favore. Molte persone dicono di essere democratiche, ma i confini di questa democrazia sono ridefiniti ogni volta». Apertissimo il finale, che naturalmente non vi riveleremo, così come lasceremo nel mistero i ribaltamenti che si susseguono nella storia. Diciamo solo che in quella sospensione come, conclude il regista «sta tutto il senso del film, e del titolo: se Dio vuole…».