Agorà

Lirica. . ?La cena delle beffe?, mandolino e Cosa Nostra

PIERACHILLE DOLFINI martedì 5 aprile 2016
MILANO Per esserci c’è. D’altra parte tutti se l’aspettano. Anche perché forse è l’unica frase che ci si ricorda de La cena delle beffe. Ma certo, sentire risuonare il celeberrimo «Chi non beve con me peste lo colga» in bocca a un padrino della Little Italy nella New York anni Venti non fa lo stesso effetto che ascoltarlo detto da un uomo in calzamaglia. Detto da un ceffo in abito gessato e bretelle ha un retrogusto di avvertimento mafioso. Non più il sapore beffardo della risata sinistra che avrebbe dovuto risuonare alla corte di Lorenzo il Magnifico. Il Teatro alla Scala rimette in scena (l’ultima volta in cartellone fu nel 1925) La cena delle beffe, l’opera che Umberto Giordano scrive nel 1924 proprio per il teatro milanese ispirandosi all’omonimo dramma di Sem Benelli. Un drammone familiare dove non c’è spazio per l’amore, figuriamoci per il perdono e la pietà. Una storiaccia a tinte fosche che a volte rischia di suscitare l’effetto opposto, quello della risata. Perché non si può non sorridere di fronte a certe frasi, a certe situazioni, a certe esagerazioni anche musicali che la bacchetta di Carlo Rizzi asseconda. Perché la partitura così com’è rappresenta un pezzo della nostra storia. Il sangue e la passione che ribollono nella Cena delle beffe raccontano un gusto del tempo che poi è lo stesso di oggi, descritto dalla televisione tra sceneggiati e reality alla C’è posta per te dove si calca il pedale sull’acceleratore dei sentimenti. Trasportando la vicenda dalla Firenze quattrocentesca alla New York del primo Novecento Mario Martone ci mette un carico non indifferente. Il regista rilegge la rivalità tra Giannetto Malespini (uno squillante Marco Berti) e Neri Chiaramantesi (un ottimo Nicola Alaimo) per la bella Ginevra (una tormentata Kristin Lewis) come una lotta tra clan rivali. Assecondando l’equazione che all’Italia associa la triade spaghetti, mafia e mandolino. La mafia c’è. Gli spaghetti sono serviti a tavola. E il mandolino risuona nella partitura di Giordano. Unico momento lirico in mezzo a tanto clamore. L’operazione di Martone funziona. Soprattutto grazie alle scene spettacolari di Margherita Palli, un palazzo di tre piani che sale e scende scoprendo stanze, ristoranti e sotterranei dove si consumano le torture. La mano del regista, però, rischia a volte di appesantire il racconto con controscene non necessarie. O con trovate che un brivido, sapendo che a Parigi sono entrati sparando in un bar, non possono non metterlo. Come quando nel finale per un attimo la musica si ferma e si compie la vendetta di Neri e Lisabetta (una musicalissima Jessica Nuccio): quattro donne armate di mitra fanno irruzione in scena e sterminano la famiglia Malespini. Sangue nel punto in cui Giordano, dopo tanto orrore, ha lasciato spazio solo alla follia lucida di chi chiede perché di tanto dolore. © RIPRODUZIONE RISERVATA Alla Scala l’opera di Umberto Giordano ambientata da Mario Martone nella New York degli anni Venti