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La poetessa. Lina Kostenko: «L’Ucraina vuole sperare nel futuro»

Alberto Fraccacreta martedì 23 aprile 2024

La poetessa ucraina Lina Kostenko

Un volume che raccoglie saggi, poesie e testi critici sul tema dell’immaginazione topografica. Stiamo parlando di Topologie del presente. Il poema e i suoi luoghi (a cura di Amelia Valtolina, Camilla Miglio, Alessandro Baldacci, Le Lettere, pagine 254, euro 18,00). Oltre ai curatori, figurano contributi di Alessandro Achilli, Antonella Anedda, Adeline Baldacchino, Serenella Iovino, Federico Italiano, Aliocha Wald Lasowski e Fabio Pusterla. Da sottolineare la presenza di Lina Kostenko, massima poetessa ucraina, con due liriche intense e un contributo in prosa, Preghiera all’Arno. Abbiamo posto alla scrittrice alcuni quesiti, ai quali ha gentilmente risposto nonostante le dolorose intermittenze del conflitto.

Qual è la sua «topologia del presente», il suo luogo del cuore?

La topologia del mio presente oggi è stata segnata dalla guerra. La testimonianza più importante dei “luoghi del mio cuore” è il luogo in cui mi trovo, cioè Kiev sotto gli attacchi missilistici russi. Kiev ha dovuto affrontare tante tragedie: l’invasione tataro-mongola nel Medioevo, l’occupazione nazista e ora l’attacco della Russia neototalitaria. L’Ucraina per me è il mare, sono le steppe, i giardini, i boschi, spazi a cui sono legati i miei viaggi, il mio amore, i miei ricordi. L’Ucraina per me rappresenta la stratificazione delle culture – quella scitica, greca, tatara, polacca, ebraica, italiana, francese – che ci hanno lasciato cattedrali, tradizioni, statue, palazzi, in altre parole, la bellezza e la memoria. La Russia ci lascia le rovine delle città e delle campagne, terra bruciata seminata dai cadaveri insepolti, l’infinito dei campi minati dove ieri cresceva il frumento. Cosa rimane a uno scrittore? L’isola della sua parola. In mezzo all’Apocalisse del mondo di oggi quest’isola forse di nuovo si chiama Patmos.

Nell’epoca dell’Unione Sovietica lei era stata definita la «grande ribelle».

Sotto il regime sovietico essere uno scrittore era pressoché impossibile. Il regime costringeva al silenzio, alla menzogna, alla perdita della dignità. La mia ribellione mi è costata decenni di proibizioni. Queste proibizioni hanno toccato non solo il mio destino o quello dei miei amici dissidenti della “generazione degli anni Sessanta”. Hanno prodotto diverse storture, causando la rottura della comunicazione tra cultura e società. In sostanza, la guerra di oggi della Russia contro l’Ucraina ha le sue radici in quei continui tentativi del regime sovietico di annientare la cultura. Il regime non è riuscito allora a cancellare l’Ucraina dalla faccia della terra, per questo cerca di farlo oggi. Perché? Soltanto perché l’Ucraina ha manifestato il desiderio, del tutto naturale, di liberarsi dalla sanguinaria trappola della storia russa e, più che integrarsi, ritornare nello spazio dell’Europa al quale storicamente è sempre appartenuta. Il totalitarismo sovietico non solo si è trascinato per settant’anni. Dopo il 1991 in Russia questo totalitarismo si è reincarnato sotto una nuova forma, rafforzata da paradigmi imperiali. Oggi sui territori occupati i russi bruciano i libri ucraini, ripetendo una pratica già vista con i nazisti. Nel mio destino di scrittrice ho affrontato due totalitarismi, quello nazista e quello sovietico. Più due guerre mondiali, Seconda e Terza. L’Ucraina vuole uscire fuori da questa cerchia fatale. Non è solo un suo diritto, ma un suo dovere di fronte al futuro.

La sua è una poesia pluristilistica che spazia dalla narrativa storica in versi al minimalismo...

Quando scrivo, per me conta non un genere specifico, ma lo stato d’animo. Sento il ritmo del tempo. Quando la storia ucraina fu stravolta durante il periodo delle proibizioni sovietiche, il genere del romanzo storico in versi era per me un modo di abbracciare varie dimensioni della storia. Mi sembra di sentirne letteralmente il respiro, sia che si tratti della storia ucraina nell’opera Marusja Čuraj, sia che si tratti della storia scito-ellenica del V secolo a.C. nel poema ballata Odissea scitica, sia che si tratti dell’Italia rinascimentale nel poema drammatico Neve a Firenze. D’altro canto, sento il mondo di oggi come implosione e deformazione delle strutture, dei sensi, delle prospettive. In quel momento si attualizza il minimalismo: versi spezzati, sprazzi momentanei. Non abbiamo più il tempo epico a nostra disposizione, dobbiamo fare presto per trasmettere al futuro i codici dei nostri sentimenti, delle nostre sofferenze, delle nostre previsioni. Viviamo nel mondo di comunicazioni immediate le quali spesso semplificano il contenuto, riducendo la parola a un involucro del suo senso originale, se non a cifre. La poesia minimalista si contrappone a questi processi, restituendo alla parola il sentimento e la filosofia.

In Zona di alienazione lei affronta la tragedia di Chernobyl.Si avvertono ancora oggi gli effetti del disastro?

Chernobyl è una tragedia che non potrebbe mai concludersi nel tempo. È un altro “luogo del mio cuore”, molto dolente. Per anni ho viaggiato nella Zona facendo parte di una spedizione storico-culturale. Insieme a studiosi, pittori, musicisti cercavamo di salvare ogni minima traccia culturale di quella vita devastata. Qui trovavamo delle campagne morte e dei cimiteri vivi dove gli abitanti evacuati si radunavano a Pasqua per ricordare i propri cari. Di solito nelle analisi della catastrofe dominano gli aspetti tecnologici. Si dimentica spesso la dimensione culturale della tragedia. L’area di Polissja è la più antica terra slava che per secoli ha custodito tradizioni uniche. Chernobyl è anche uno dei più importanti centri del chassidismo in Ucraina. Di nuovo, era un’Ucraina piena di vita, Paese multiculturale schiacciato dal moloch del regime totalitario. Un’altra morte causata dalla Russia. All’epoca la catastrofe nucleare sembrava il disastro più spaventoso. Ma oggi risulta che la terra contaminata potrebbe essere anche occupata, percorsa da carri armati, diventata poligono per sparare contro la capitale. Per questo Chernobyl rappresenta un monumento simbolico dell’epoca sovietica. Il tempo di quell’epoca è finito solo formalmente. La centrale nucleare fu eretta nel clima di ideologemi falsi e di arretratezza tecnologica. Per cui questa costruzione pensata dal Cremlino come sfida alla modernità è diventata un sinistro immondezzaio nucleare che ha trasformato terre fiorenti in un deserto senza vita.

Come vede il futuro dell’Ucraina?

È difficile essere ottimisti. Ma qualsiasi dimensione univoca, ottimista o pessimista che sia, sarebbe una reazione semplificatrice di fronte agli scenari che vediamo oggi in Ucraina. E l’ombra di questi scenari copre l’Europa tutta. L’orizzonte di eventi si è allargato in maniera pericolosa. Per questo forse ci vorrebbe una nuova filosofia della vita e della percezione della realtà. Ciò che conta è che la questione ucraina è diventata una questione che riguarda tutto l’Occidente come civiltà democratica. Nel 1994 l’Occidente era così estraneo all’idea di una guerra che costrinse l’Ucraina a consegnare le armi nucleari e convenzionali alla Russia. È con queste armi che la Russia annienta oggi l’Ucraina e minaccia l’Occidente. Ma c’è anche un aspetto morale in questa storia. Il mondo democratico diventa sempre più indifferente mentre il mondo antidemocratico si prepara con entusiasmo a una guerra totale. Nonostante questo l’Ucraina, nel periodo più drammatico della sua storia, dimostra che la solidarietà e l’empatia sono garanzie per la sopravvivenza. Nella sua storia lpiù volte è morta senza che il mondo se ne accorgesse. Proprio adesso che la Russia ha cominciato a minacciare il mondo delle democrazie, questo mondo ha capito che l’Ucraina difende i limes dell’Europa. Per cui credo che proprio ora l’Ucraina sopravviverà e avrà un futuro degno delle sfide dei giorni nostri.

(Traduzione di Oxana Pachlovska, figlia della poetessa e docente di Ucrainistica alla Sapienza. Si ringrazia Amelia Valtolina per la collaborazione)