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LETTERATURA. Joyce & C., gli italiani di «Ulisse»

Alessandro Zaccuri mercoledì 7 dicembre 2011

Il 2011 è stato l’anno del Grande Gatsby, il prossimo invece sarà quello di Ulisse. Anzi, di Ulysses, come lo si chiama talvolta per fugare ogni equivoco: sì, stiamo parlando dell’impervio capolavoro di James Joyce, non dell’immortale poema di Omero. Dal 1° gennaio 2012, infatti, le opere del grande scrittore irlandese saranno tecnicamente “libere da diritti”. Trascorsi settant’anni dalla scomparsa dell’autore (nato a Dublino il 2 febbraio 1882, Joyce morì a Zurigo il 13 gennaio 1941 in seguito alla complicanze di un intervento all’ulcera), i suoi libri possono essere tradotti e pubblicati senza bisogno di autorizzazione e, più che altro, senza dover corrispondere alcuna royalty. Esattamente com’è accaduto quest’anno con i romanzi di Francis Scott Fitzgerald (1896-1940), a partire dal celeberrimo Grande Gatsby che, disponibile fino a poco tempo fa solo da Mondadori nella storica versione di Fernanda Pivano, è oggi presente nel catalogo di diversi altri editori, tra cui Einaudi, Feltrinelli e Minimum Fax.Qualcosa di simile sta per accadere con Joyce e con il suo Ulisse. Finora l’«unica traduzione integrale autorizzata» – come puntigliosamente annunciava il frontespizio – era, ancora una volta, quella pubblicata da Mondadori e apparsa per la prima volta nel 1960. Il complesso lavoro di trasposizione in italiano era stato portato a termine da Giulio de Angelis, al quale si era affiancato un formidabile terzetto di consulenti composto da Glauco Cambon, Carlo Izzo e Giorgio Melchiori. Tra poco, secondo quanto è dato ricostruire, dovrebbero arrivare in libreria almeno un paio di alternative. A tagliare il traguardo per primo potrebbe essere l’Ulisse tradotto dall’anglista Enrico Terrinoni per Newton Compton, ma molto attesa è anche la versione che lo scrittore Gianni Celati starebbe per consegnare a Einaudi, al termine di un lungo corpo a corpo con il testo.

All’inizio dei Novanta era stato lo stesso Giulio Einaudi a commissionare una nuova versione del romanzo, che avrebbe dovuto trovare posto nella collana ammiraglia dei “Millenni”. Il prescelto, quella volta, era stato Ottavio Fatica, studioso e traduttore assai apprezzato (porta la sua firma, per esempio, l’«integrale» delle opere narrative di Rudyard Kipling in corso presso Adelphi), il cui lavoro si arrestò ai primi tre capitoli dell’Ulisse, la cosiddetta “Telemachia”. Nel frattempo, infatti, la normativa europea sul copyright aveva esteso da cinquanta a settant’anni dalla morte dell’autore il periodo di “copertura” dei diritti. Ne aveva fatto le spese un Ulisse “non autorizzato" che, affacciatosi sui banconi una ventina d’anni fa, fu rapidamente ritirato dal commercio per evitare la rivalsa economica da parte degli aventi diritto. Una meteora di cui gli stessi esperti conservano oggi una memoria abbastanza vaga.Traduzione o non traduzione, il capo d’opera di Joyce è da sempre un libro un po’ italiano. Ideato a Roma nel 1906 e iniziato a Trieste nel 1914, il romanzo è attraversato da una trama notoriamente intricata di riferimenti non soltanto mitologici, in un continuo alternarsi di virtuosistiche soluzioni linguistiche strettamente connesse al ruolo simbolico dei vari personaggi. Lo stesso Joyce approntò alcuni schemi per aiutare il lettore a cogliere le sottigliezze di una narrazione che riesce a essere, nello stesso tempo, straordinariamente moderna e maniacalmente fedele al modello dell’Odissea omerica. Il più affidabile è lo «schema Linati», contenuto in una lettera che Joyce inviò nel 1920 a unom dei suoi amici italiani, lo scrittore comasco Carlo Linati: una dettagliata rilettura di trama e situazioni, in virtù della quale si riescono ad accorciare le distanze fra la Dublino del 16 giugno 1904 (la fatidica giornata nella quale tutto accade) e il Mediterraneo ancestrale su cui l’eroe astutissimo naviga e si perde durante il viaggio di ritorno verso Itaca.Quanto alla traduzione di De Angelis & C., rimane tra le più accurate, anche se non tra le più tempestive, se si pensa che già nel 1945 usciva a Buenos Aires una versione del romanzo in castigliano. Condotto su un testo non ineccepibile (la prima edizione del romanzo fu stampata in Francia nel 1922, da tipografi che conoscevano poco o nulla di inglese), l’Ulisse all’italiana ha subìto aggiustamenti e correzioni da una ristampa all’altra. Mandarla in pensione, però, potrebbe essere meno semplice del previsto, dato che il tempo le ha conferito una certa patina di classicità. Un grattacapo in più per i traduttori, sia pure eccellenti, che si preparano a scendere in lizza allo scadere del settantesimo anno.