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Sociologia. Jane Addams, l'utopia di abolire la prostituzione

Antonella Mariani giovedì 16 novembre 2023

Un ritratto di Jane Addams

Per combattere il “vizio commercializzato”, un giro di parole per dire la prostituzione, serve il suffragio universale. Ecco la (bella) utopia dell’intellettuale americana di inizio Novecento Jane Addams: il voto alle donne, e quindi un maggiore potere politico, potranno porre fine alla piaga dello sfruttamento sessuale delle donne, che un secolo fa come oggi deturpa il volto della società. Una autentica solidarietà femminile, insieme a una concreta possibilità di fare la differenza, insomma, avrebbe creato una «nuova coscienza» in grado di porre fine a questa autentica e radicale «ingiustizia sociale».

«Le donne con potere politico non ammetterebbero che gli uomini vivano con il salario delle vittime (…). Se per una volta venissero concessi alle donne i diritti politici, se la situazione fosse data in mano a loro per affrontarla come una questione di responsabilità civica, l’esistenza della prostituzione non rimarrebbe incontrastata (… ). Certamente le donne emancipate offrirebbero una certa protezione alle stesse schiave bianche che sono tollerate e segregate».

Jane Addams, pensatrice libera nata nel 1860 nell’Illinois, ricercatrice sociale coraggiosa nella Chicago degli anni Dieci, denunciava la tratta della bianche e ne descriveva i contorni, a partire dall’ascolto delle vittime: le ragazze immigrate dall’Europa, sole, indebitate e senza conoscenza dell’inglese, le commesse dei grandi magazzini retribuite con salari al di sotto della sopravvivenza, le contadine che approdavano in città con l’impegno di alleviare la miseria delle famiglie. A centinaia, giovanissime, venivano abbindolate dall’“innamorato” di turno e introdotte al “vizio commercializzato”.

Addams non si limitava allo studio – intervistò centinaia di giovani – ma fondò la Hull House, una comunità di intellettuali e pensatrici impegnate a lavorare e vivere insieme con e per le persone di un distretto di Chicago lacerato da una povertà estrema, traendo forza da una intensa solidarietà femminile. L’insediamento fu fucina di studi e ricerche, ma anche culla di azioni concrete per ridurre le diseguaglianze sociale; l’abnegazione valse ad Addams il Nobel per la Pace nel 1931. Morì quattro anni più tardi, lasciando centinaia di articoli e una dozzina di libri.

Il risultato della sua ricerca sulla prostituzione a Chicago, A New Conscience and an Ancient Evil, scritto nel 1912 e finora inedito in Italia, è stato tradotto e pubblicato nella neonata collana “Donne in sociologia” di Vita e Pensiero, diretto dalla docente dell’Università Cattolica di Milano Mariagrazia Santagati, con il titolo La schiavitù delle donne (pagine 132, euro 14,00).

Alla giovane ricercatrice Chiara Ferrari, che ha curato il libro, il merito di aver voluto riscoprire e tradurre il pensiero di una studiosa che, come tante colleghe appartenenti al “gentil sesso”, non ha avuto nella storia della sociologa del Novecento il riconoscimento che meritava. Il saggio di Jane Addams, pur essendo ovviamente datato nel linguaggio, è straordinariamente attuale nella ricognizione delle cause e delle responsabilità dell’«antico male».

Viene in mente, leggendo i toni accorati e partecipati e la profonda empatia con le ragazze vittime della schiavitù, la gigantesca figura di Lina Merlin, madre costituente, prima senatrice della Repubblica, a cui si deve l’abolizione della case chiuse in Italia. La socialista Merlin, come la repubblicana Addams mezzo secolo prima (la legge che porta il suo nome fu approvata nel 1958, dopo un decennio di battaglie durissime) pensava che il commercio sessuale sia un oltraggio alla dignità delle donne e che esso vada estirpato con un mix di misure educative, legislative, di scoraggiamento se non repressione della domanda e di protezione sociale delle vittime.

Quello che non poteva sapere Jane Addams era che non sarebbe bastata l’emancipazione femminile a liberare le donne dallo sfruttamento sessuale: basti pensare alle dimensioni della moderna tratta, che oggi come allora riguarda giovani immigrate e donne vulnerabili in generale. Non si avverata nemmeno la sua speranza in una “crociata dei compassionevoli”: «Una generazione che ha attraversato tante continue rivolte contro gli interessi commerciali e l’illegalità, guiderà finalmente un’altra sommossa a favore delle ragazze vittime del più vile mercantilismo». Non adesso, non ancora.